2019 – Febbraio – The White Trail

Solitamente lascio trascorrere un po’ di tempo prima di scrivere il resoconto di un giretto. Lo faccio primo per organizzare un po’ i pensieri, così da separare le cose importanti da quelle irrilevanti, secondo perché deve passare del tempo prima che mi decida sul come raccontare una storia.

Questa volta incomincio a scrivere all’indomani del mio TWT. L’adrenalina è ancora tutta nelle mie vene, e con un po’ di fortuna, forse, si tramuterà in parole.

Il TWT è una candida traccia di neve bianca che, per circa 60 chilometri e 2000 metri di dislivello positivo, si perde tra le montagne che separano Merano da Bolzano lungo la direttrice Nord-Sud, e Merano dalla Val Sarentino lungo la direttrice Ovest-Est.

Con questa storia partirò dall’inizio, ovvero dall’iscrizione al TWT. Proprio un attimo prima di iscrivermi, leggo che il luogo della partenza è un paese dal nome per me irricordabile: Falzeben.

Dove si trova? Che roba è?

Non essendo automunito, decido di chiedere a Maurizio (l’organizzatore dell’evento) se sia facile raggiungere il posto (di cui ho già dimenticato il nome) con i mezzi pubblici.

Screenshot from 2019-02-26 11:13:51

Telefono alla SAD, e l’operatrice al telefono mi dice che la bici va nel bagagliaio del bus, se c’è posto.

Ok mi dico, tentiamo la fortuna.

Faccio l’iscrizione alle 5 di pomeriggio del giorno prima della partenza, ed a quell’ora incominciano anche i miei preparativi per il TWT.

La mia deadline per IJCAI é martedì, e questo significa che devo riuscire a finire il trail in un giorno (sabato) perché la domenica dovrò lavorare.

Inoltre, è tassativo finirlo prima che l’ultimo bus lasci le montagne… e me al mio freddo e misero destino!

Quindi, studio un piano geniale quanto semplice: non fare alcuna pausa pranzo e pedalare “a tutta” senza alcuna sosta. Per riuscirci, mi reco al supermercato e prendo una quota di sicurezza di barrette e sesamini (talmente di sicurezza che all’arrivo ne avrò ancora ben quattro confezioni).

Preparo lo zainetto, ed anche qui mi metto in condizione di sicurezza:

– Giacca impermeabile;
– Seconda giacca impermeabile di Nylon (pesa poco, la porto sempre);
– 4 Maglie a maniche lunghe, due estive e due invernali;
– Copripantaloni;
– Fascette da elettricista;
– Due power bank e relativi cavetti;
– Carta igienica;
– Telo termico d’emergenza;
– Lampada frontale, e 3 batterie di riserva;
– Nastro isolante;
– Forbicetta (per tagliare il nastro isolante)
– Tessera CAI, documenti, chiavi, etc.

Porto la bici in cucina, e nei tempi morti della preparazione della cena incomincio smontare la catena per eliminare il deragliatore: peso inutile!

Inoltre, cambio anche il sellino e metto quello bello imbottito da dieci euro della Regina delle Corse. Lo stesso sellino che l’ultima volta (correva l’anno 2017) mi ha permesso di terminare in maniera dignitosa, pur non usando alcun fondello, il South Tyrol Trail.

Preso dalla fretta di andare a riposare (ho il treno alle 6:26 del mattino), monto il reggisella al contrario!

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Lo smonto e lo rimonto correttamente di fretta, sul treno, di nascosto come un ladro (sia mai che qualcuno mi veda armeggiare con chiavi esagonali sul treno e mi scambi per un vandalo!)

Inoltre, l’asciugatura del secondo paio di “pedalini” (che ovviamente ho tirato fuori dai panni sporchi e lavato, a mano nel lavandino, solo all’ultimo momento) avviene grazie al servizio riscaldamento vagoni gentilmente offerto da SAD.

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Col bus non ho problemi, e riesco ad arrivare a Falzeben ben in anticipo rispetto alla partenza di gruppo. Scambio quattro chiacchiere con Maurizio, il quale fa opera di terrorismo psicologico e mi inculca l’idea che dovrei partire prima delle 9:30 se voglio arrivare prima che cali il buio.

Siccome sono un gran fifone ed ho tanta paura persino del buio della mia cameretta, ingoio in un boccone il mio cornetto, bevo “alla calata” il mio cappuccino, e parto all’avventura!

L’inizio è fantastico, una strada spianata bene bene da dei macchinari bellissimi che rendono la pedalata così piacevole, una pacchia!

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Che bello questo TWT!! Una passeggiata! Guardo quelli che si involano con gli sci e penso che siano matti a scendere così veloci da pendii così ripidi. Oppure quelli che salgono con gli sci ai piedi, chissà che fatica! Ancora più matti.

La mia passeggiata di piacere è presto interrotta dal cellulare, il quale mi indica che devo lasciare la bellissima autostrada che mi piaceva così tanto e svoltare a destra per uno stretto, bucherellato e poco rassicurante trail con una neve che non sembra neppure imparentata con quella di poco prima: sapone! Inoltre, scopro a mie spese che uscire anche di solo un centimetro dalla neve battuta significa sprofondare per chilometri tra le grinfie di una neve che nulla ha da invidiare alle sabbie mobili.

Ed è solo un assaggio! Poco dopo, infatti, mi toccherà scalare una montagna con la bici in spalla.

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Insomma, bella fatica! Però che panorama! Inizia un plateau talmente bello che è impossibile descrivere, quindi non lo farò.

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Sferzato dal vento, nonostante la pianura mi tocca spingere! Infatti ci sono degli accumuli di neve davvero strani: sembrano essere alti solo pochi centimetri, ma quando ci metto il piede dentro ecco che precipito in un abisso senza fondo! Inoltre, il vento rende difficile seguire la stretta traccia di neve battuta, ed uscire da questa traccia significa sprofondare! Per fortuna davanti a me ci sono delle persone ben più esperte di me che riescono, come maghi, ad evitare le sabbie mobili… altrimenti chissà dove sarei andato a sprofondare.

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Passato il plateau, mi imbatto in una persona che ormai incontro in ogni trail: la mitica donna d’acciaio Laura Ceccon! Ormai poverina crederà che io la stia stalkerando, data la frequenza con cui ci incontriamo. Laura, tranquilla non sono uno stalker!

Quasi ad aver appreso l’arte, come un mago leggero salgo su per una via che mi permette, bici in spalla, di salire senza mai sprofondare fino agli Omini di Pietra. Data l’infausta sorte che è toccata ad altri partecipanti ben meno avvezzi alle magie, ne deduco che le streghette regine della montagna mi abbiano voluto dare un aiuto. Del resto ci conosciamo bene, questa è già la terza volta che vengo qui nel giro di pochi mesi. Ed ancora non sono un sasso!

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Scendo insieme ad altri partecipanti, quindi posso finalmente scattare una foto con qualcuno (ma chi??) in sella circondato dalla neve. Bello!

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Arrivato a Malga Moeltner, imbocco un sentierino stretto, scivoloso e divertentissimo, per me il più divertente di giornata. Questo sentiero mi porta su una forestale che si ricongiunge alla strada asfaltata per Meltina.

Arrivato all’incrocio del parcheggio, non capendo bene quale strada prendere, chiedo ad un altro partecipante che si trova lì in quel momento:

“Dove devo andare?”.

Quello mi fa:

“A sinistra!”.

Imbocco quindi il Sentiero Europeo E5, ma al contrario! Fino all’Edelweiss è un’infinita distesa di fango che, percorrendo il sentiero in discesa e quindi ad alta velocità, mi fa bagnare non poco.

Anche la bici soffre, e da qui in poi non andrà più come prima: un brutto rumore di ferraglia mi accompagnerà fino all’arrivo… fortunatamente rimanendo solo un rumore e non trasformandosi in niente di più serio.

Sporco come un cinghialotto, di tanto in tanto incontro altri partecipanti che mi vengono incontro (e che quindi hanno imboccato l’anello per il verso giusto!) che mi guardano come il coglione che sono.

Sporco, infangato e deriso mi tocca pure fare in salita ed a spinta dei ripidi single track che sarebbero stati divertenti se presi nel verso giusto..

Mi consolo sapendo che non sono il solo ad aver imboccato l’anello al contrario: mi raggiunge un altro partecipante, Gabriele, ed andando più o meno alla stessa velocità (e nello stesso verso) ci ritroveremo a fare un buon pezzo di trail insieme.

Sulla neve lui se la cava molto meglio di me, lo soprannomino subito il “piccolo gatto delle nevi”: in diversi tratti dove io vado avanti a bestemmie lui va via tranquillo. Molto bravo, ed io molto fesso (in aggiunta al coglione di prima) a venire con una gomma decisamente inadeguata.

Dopo un bel po’ di fatica, forse la prima volta che apre bocca esclama “mancano 20 chilometri!”. Tra me e me penso, “È fatta! E sono ancora pieno di energie!!”

Incomincio a pregustare l’idea dell’arrivo ben prima del tramonto… sono da poco passate 5 ore di pedalata, va che finisco in 7 ore??

Niente di più sbagliato.

Non passano neanche 5 minuti, che inizia un sentiero completamente impedalabile. Chilometri e chilometri di neve fresca, in cui tocca spingere, imprecare, e ancora spingere. Il tutto condito da dei “buchi” lasciati da chi è passato prima di noi.

Tutti i tentativi di rimanere in sella, soprattutto per via di quei maledetti buchi, risultano vani. È una neve beffarda, a vista pedalabilissima ma in pratica estremamente molle.

Passano le ore. Arriva la settima ora di pedalata e finalmente lasciamo quel sentiero impercorribile. Mi butto giù per un single track e scendo veloce, lasciando indietro Gabriele fermatosi ad armeggiare col cellulare.

Finita la discesa, incomincia una salita su neve battuta, finalmente pedalabile.

Decido di mangiare, e di mettere la maglia estiva sopra la maglia invernale. Il sole cala, ed incomincia a fare freddo.

Ad incominciare è anche il mio solito problema: forse anche per via del freddo, mi si chiudono i bronchi ed ho il fiato corto. Non riesco quasi a respirare e devo rallentare di molto. L’altitudine non gioca certo a mio vantaggio, e sarà un gioco di luce ma persino le mani mi sembrano violacee.

In queste condizioni, salgo per svariati chilometri finchè raggiungo Malga Voeraner, in cima a quella che allora credevo essere l’ultima asperità di giornata!

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Faccio un’ultima foto, e mi butto in discesa sperando che mi porti fino a Fals.. Falz… insomma, fino a quel posto lì.

Dopo i primi metri in discesa, Maurizio ci fa prendere il solito sentierino bastardo con la neve alta…

FREERIDE TIME!!

O meglio, FREESPINTA TIME!!!

Io credo che Maurizio, in realtà, non sia bastardo. Io credo che lui sia semplicemente un “trail builder” che ha trovato una maniera creativa e poco faticosa (per lui) di battere sentieri vergini!

Scendo per un lungo tempo, a piedi e nella neve alta, finchè non raggiungo una valle…

Una valle. Non Falzeben!

Falzeben è in alto! Tanto in alto.

Niente, alla soglia dell’ottava ora, ecco che mi ritrovo da solo, nel freddo, a pedalare.

Ma il fiato è troppo corto, ormai anche le forze iniziano a mancare. Almeno ritrovo un equilibrio, ed è proprio l’idea dell’equilibrio tra corpo, fiato, e mente, tutti parimenti sfiniti, a darmi lo spunto.

L’idea che posso riuscire ad arrivare in cima a quella salita.

In me c’è la sensazione di essere arrivato al limite.

La paura di essere da solo, in una valle chissà dove.

Il cellulare quasi scarico e la notte che, silenziosa, cala.

Intorno solo freddo e silenzio.

Ed io lì, che cammino sulle lastre di ghiaccio, e pedalo—ai minimi—dove posso.

Col fiato sempre più corto.

Tiro il freno.

Scendo dalla bici, ritrovo nella meticolosità la forza per proseguire.

Per prima cosa, prendo la giacca dallo zaino e la indosso.

Poi prendo la lampada frontale, e cerco di allacciare la cinghia sopra il casco, nella maniera che “mi sono inventato”. A casa mi veniva facile, ma adesso che è davvero il momento di farlo, con le mani fredde, proprio non mi riesce. Provo e riprovo, ed alla fine ce la faccio.

Accendo la lampada. Per fortuna, funziona.

Prendo un power bank, e lo attacco all’orologio che uso per registrare la traccia. Il cavo giusto è quello bianco, quello nero non va bene.

Prendo i sesamini, non una barretta. Cerco la normalità, la semplicità, la routine. Un’idea di casa in un luogo così ameno.

Mi incammino, spingendo la bici, e mangiando sesamini.

La bici, proprio quella. Un vantaggio di avere la Regina delle Corse al mio fianco, adesso, sarebbe stato proprio quello di avere in lei l’idea di casa. Con questa bici che avrò usato al massimo 5-6 volte, e che non ho mai particolarmente amato, è difficile.

Passa un po’ di tempo, e la normalità riporta le cose al suo posto. Il respiro si rilassa, mi sembra quasi che sia diventato più profondo. Il miele dei sesamini è ancora in bocca, e la lampada funziona.

Cosa c’è da temere?

Urlo nel bosco, e salgo in sella. Riparto, con rabbia. Il respiro si accorcia, ma non mi importa. Le gambe sono pesanti, ma non le sento.

Ogni pedalata è mossa esclusivamente dalla rabbia, rabbia che sposta un po’ più in là il mio limite.

Se manca il respiro, ne farò a meno. Se mancano le forze, ne farò a meno.

Arrivo in cima, ed inizia un sentierino in discesa.

Finalmente.

È ormai quasi buio, ed il sentierino è un traverso su di uno strapiombo. Vietato fare errori.

Sulla neve non mi fido, soprattutto delle mie capacità e delle mie vertigini. Smonto dalla bici, e pian piano scendo per il sentierino.

Mi raggiunge Gabriele. Noto che lui non ha ancora acceso la lampada. Mi pare logico… se mi ha raggiunto, vuol dire che è più lucido di me.

Manca un solo chilometro. Di salita.

La rabbia l’ho ancora in corpo, non ho voglia di passare al 22 e salgo col 36, con tutte le forze che ho in corpo…

Ma la salita è, seppur breve, troppo lunga. La rabbia da sola è inutile, ed alla fine la salita mi riporta alla realtà. Scendo al 22 e, pian piano, salgo e salgo.

Finchè non arrivano le prime luci di Falzeben…

Sono nel furgone, seduti affianco a me due partecipanti che mi hanno offerto un passaggio fino a Bolzano. Sono ancora stordito dalla fatica, ed i miei benefattori parlano del tempo di percorrenza. Per loro 8 ore e 30.

Già, il tempo. Accendo l’orologio, e leggo.

9 ore e 34 minuti.

 


 

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