Luglio 2023 – Il (mio) Giro dell’Anno

Una volta l’anno, e neanche tutti gli anni, arriva quel giro che sposta i tuoi limiti un po’ più in alto. Magari prima neanche lo immagini, e sei sommerso da dubbi, ma capisci che qualcosa in te è cambiato una volta finito il giro.

Per me, quest’anno, quel giorno è arrivato in una torrida giornata di Luglio.

Tutto è cominciato con un messaggio di Michele (alias, @mik69), che cercava compagni per una due giorni al Piz Umbrail. Purtroppo, dovevo lavorare e non avrei potuto partecipare. Così ho girato la proposta ai miei soliti compagni d’avventure, rassegnandomi all’idea di fare un’uscita in solitaria, magari una delle solite in zona così tanto per passare una domenica di relax, in vista del caos che mi aspettava Lunedì al lavoro.

Ma niente, il Piz Umbrail si è rivelato essere troppo impegnativo per tutti, logisticamente parlando, quindi l’idea viene presto abbandonata. Al che, Michele, tira fuori il celeberrimo “coniglio dal cilindro”, e sabato propone di andare a fare un giro al Puez, partendo da Colfosco in Val Badia. Giro di un giorno, 2300 metri di dislivello, tanto portage…

Vado a spulciarmi la traccia e, senza neanche dover leggere il report, ne riconosco subito l’autore. Questo è un tizio che fa giri davvero duri (o, come qualcuno direbbe, da veri duri), solitamente con tanto “portage” (ossia, l’arte di portarsi la bici in spalla) e discese difficili. Insomma, una persona con un livello decisamente superiore al mio.

Quindi, è necessario studiarsela per bene questa traccia. Apro il fido OpenStreetMap, e vedo che più o meno sembra tutto fattibile, a parte un tratto “T3” che, puntualmente e almeno nella mia esperienza, significa “grandi bestemmie se hai una bici sulle spalle”. Leggo con attenzione la descrizione, che parla di cavi d’acciaio, ma non sembra una via ferrata, quindi dovrebbe essere più o meno fattibile. Non essendo un alpinista navigato, confesso che il dubbio mi creerà non pochi problemi a prendere sonno sabato sera. Ma con me ci sarà Michele, esperto e capace, quindi mi sento un po’ più tranquillo e mi dico che basterà fare quello che fa lui (magari, senza affacciarsi dal baratro per guardare giù).

L’indomani prendo la Panda e parto, direzione Colfosco in Val Badia. Arrivo in orario, quasi sincronizzato con Michele, che addirittura si è fatto la trasferta fin da Padova. Decidiamo di tagliare subito 500 metri di dislivello, prendendo la cabinovia Plans-Frara che ci porta direttamente ai piedi del Gran Cir. Praticamente non abbiamo fatto neppure un metro di pedale, ma davanti a noi già si apre un panorama spettacolare sul gruppo del Sella e il Sassolungo.

E questo è solo l’inizio!

Incominciamo, pian piano ed in portage, a risalire il sentiero che ci porta lungo la prima asperità di giornata, la forcella Crespeina. Salendo, scattiamo qualche foto perché il paesaggio lo merita davvero:

E, una volta in cima, si apre davanti a noi lo spettacolo della Val Chedul:

Ci mettiamo su le protezioni, e ci lanciamo in discesa lungo la Val Chedul. Il primissimo tratto è davvero tecnico, e siamo costretti a fare qualche punto a piedi. Man mano, però, la valle diventa sempre più ciclabile, e inizia ad accoglierci con bei prati in fiore.

Infine, deciso il sentiero inizia ad inabissarsi lungo una gola con un’infinità di scalette che metteranno a dura prova i nostri polsi. Dopo molto godimento, ma non per i nostri polsi, arriviamo alla Vallunga, altro posto meraviglioso.

Da qui, finalmente, diamo il primo colpo di pedale, e iniziamo a risalire verso il rifugio Firenze. Lungo la salita, si apre a noi lo spettaccolo delle Odle, decisamente da rimanere senza fiato, e di cui mi accorgo solo ora non aver fatto alcuna foto :azz-se-m:

Questo spettacolo è forse un po’ rovinato dall’assurda quantità di persone presenti al rifugio Firenze, letteralmente preso d’assalto. Senza neanche fermarci, fuggiamo da quella bolgia e prendiamo un sentierino che porta alla forcella Siel, dove praticamente non incontriamo anima viva. Da lì, si apre una meravigliosa valle detritica che riusciamo a risalire quasi tutta in sella.

Abbandoniamo la valle svoltando a destra, dove inizia un altro tratto di portage che ci porterà fin sotto l’attacco della forcella di Seies…

Tratto di portage, questo, che fortunatamente è di tanto in tanto interrotto da brevi intermezzi pedalati…

Dopo un discreto ravanare, arriviamo finalmente all’attacco della forcella. Devo ammettere che qui ci arrivo sfinito, nello spirito e nelle forze, con un sole che picchia duro e che non ci ha mollati per tutto il giorno. E siamo solo a metà giro! Mi rassegno, metto la bici in spalla, e inizio il mio lento calvario lungo il ripido ghiaione che ci porterà alla forcella di Seies.

Dopo un bel po’ di portage, arriviamo alla forcella sfiniti… e adesso ci aspetta il famigerato tratto col cavo d’acciaio! Io e Michele decidiamo di sederci un attimo, all’ombra di una pietra, a riprendere fiato e goderci un po’ il panorama, che è DAVVERO notevole.

Qui assisto ad’una scena che mi rincuora: vedo una coppia scendere, marito e moglie abbastanza avanti con l’età e per nulla atletici, con una certa disinvoltura dal famigerato tratto attrezzato. Penso, quindi, che il tratto non deve essere poi così brutto, se due “vecchietti” se lo son bevuto così a cuor leggero!

Mentre penso ciò, scorgo due ragazzi sulla cima, anche loro intenti a scendere da dove sono già passati i vecchietti. Giovani, a petto nudo e con notevoli addominali in bella vista. Ossia, col classico fisico che tutti noi vantiamo aver avuto da giovani, ma che poi in realtà solo pochi hanno avuto in dotazione da madre natura.

Penso che siano due trail runner, che per scendere neppure avranno bisogno dei cavi, ma che anzi s’involeranno giù di corsa…

Niente di più sbagliato. Incomincia una scena da comiche, con i baldi giovani che iniziano a scendere letteralmente “di culo” e altre pose poco dignitose o instagrammabili. Ecco, dovevano arrivare ‘sti due a farmi tornare le fisime sul tratto col cavo!

Aspettiamo un po’, poi io e Michele decidiamo di partire con i due che ancora stanno ravanando in discesa. Ci incrociamo, ci guardano, e un po’ spaesati ci chiedono:

“Ma salite di qua?”

“Con le bici?”

“Ah… buon giro!”

Grazie, altrettanto.

Chissà cosa avranno pensato, vedendoci tutti gobbi sotto il peso delle nostre bici, a fare il tratto dove loro son scesi con così poca dignità… soprattutto, chissà cosa avrebbero pensato se avessero visto i vecchietti di prima!

Il tratto attrezzato si rivelerà duro, molto, con una bici in spalla. Fortunatamente avevo il gancio allo zaino, che mi permette di avere le mani libere, e tirarmi su con entrambe le mani è stato un po’ più facile che non farlo con una sola mano. In un punto, un po’ più ostico, bisogna passare “da una cima all’altra”, ma la presenza del cavo permette di farlo in tranquillità (a patto di non guardare giù).

Finito il trattino attrezzato, finisce l’incantesimo iniziato la sera prima, che mi aveva tenuto con i nervi tesi per tutto il giorno. Abbraccio Michele come gesto liberatorio, e rimango incantato da quello che ci circonda… sconfinate distese di picchi, pietre, e “profondissima quiete”.

Dopo un po’ di foto, riprendiamo le nostre bici e facciamo un traverso leggermente delicato, con altri tratti a corda fissa… ma ormai il peggio è passato.

E presto arriviamo all’inizio della nostra discesa, DA URLO, verso il rifugio Puez. Di cui NON abbiamo fatto molte foto, tanto era il nostro godimento.

Proverò, quindi, a descriverla: sterminate distese erbose interrotte dalle creste di aspre montagne, col Sassongher che, in lontananza, si staglia più in alto di tutte con la sua forma arcigna. Con noi solo le marmotte che, curiose, ci osservano.

Arriviamo al rifugio Puez e ci fermiamo, finalmente, per il primo panino e birra di giornata… nonostante siano già le 5 del pomeriggio!

Dopo la meritatissima sosta, ripartiamo (ovviamente in portage) diretti verso Cima Ciampani. Percorriamo grigie lastre di pietra che rendono il paesaggio lunare, con la luce del tramonto a fare da magico contorno. Incantati, accompagnati da questa meraviglia così come Dante fu accompagnato da Beatrice arriviamo, finalmente, in cima.

Ormai sono gasatissimo. Il sole sta calando, e con esso il caldo. La birra e il panino mi hanno dato nuove energie, e subito mi lancio in discesa da primo, a dettare il ritmo e le linee. Chiudo passaggi che, solitamente, mi incuterebbero un po’ di timore, e più la discesa si fa tecnica più divento euforico, sciolto, e la mia guida si adatta, migliora. Tra aguzze rocce dolomitiche, trovo il mio flow.

In un baleno, e al pari di un sogno, la discesa finisce e siamo a Villa. Un trasferimento di qualche chilometro ci porta defnitivamente fuori dal sogno, e alle nostre macchine, che sono ormai le 21:00 di sera inoltrate. Ceniamo, ci salutiamo, e con un sorriso a 180 denti torno a casa.

Sapendo di aver concluso il, mio, giro dell’anno.


Per tutti i tratti non documentati da foto, c’è la vostra fantasia… oppure c’è il video:

Agosto 2020 – MAGS (Finale)

[Continua da qui.]

Terzo Giorno

Mi sveglio, e lentamente incomincio a smontare la tenda, sgonfiare il materassino, re-infilare tutto nelle sacche di compressione… una riga per scriverlo, un’ora per farlo.

Parto che sta per albeggiare. Penso che, se sarò fortunato, magari beccherò l’alba proprio a Rocca Calascio, uno dei luoghi più suggestivi di questo viaggio.

Poco dopo l’abitato di Santo Stefano faccio un incontro assai inaspettato: un gruppo di una ventina tra cinghiali e cuccioletti! Aspetto che attraversino la strada, a debita distanza, mentre tra me e me penso “ma sono arrivati anche qui? Anche i lupi saranno in vacanza…”

Passati i porcellini, continuo la salita verso Rocca Calascio….

…eh sì, sono proprio fortunato.

Essere a Rocca Calascio, completamente da solo ed averla tutta per me, alle prime luci dell’alba. Wow.

La mia buona stella mi sorride, e confido di finire il trail in giornata.

Dai 1340 metri sul livello del mare di Rocca Calascio perdo rapidamente quota fino ad arrivare a valle, per poi tornare a salire fino ai 1240 metri di Castel del Monte.

Non ero mai stato qui, se non di passaggio in macchina. Sono le otto del mattino, e mi fermo ad un bar per fare colazione. Stamattina da signore: cornetto e cappuccino.

Riparto e prendo una lunga e ripida strada in ghiaia in salita. Direzione, Campo Imperatore.

Ma sbaglio qualcosa: sono finito nel campo di qualcuno! La strada che dovrei percorrere passa 10 metri più in alto, parallelamente a questo campo. Con fatica, spingo la bici fino a riguadagnare la strada.

Purtroppo devo incominciare a lesinare sulle foto: i miei due powerbank sono esauriti, ed il mio (vetusto) cellulare non tiene la carica molto a lungo.

Però, la strada che porta a Campo Imperatore è un susseguirsi di meraviglie che sarebbe un peccato non immortalare…

Intravedo il Corno Grande! Casa mia è proprio lì dietro…

Se intravedo il Corno, vuol dire che sto per arrivare nel luogo principe del giro…

…alla Piana di Campo Imperatore!

Scendo giù per la piana, e seguendo un accenno di traccia lungo il prato…

…arrivo al Rifugio Racollo, dove mi fermo per una birra e un panino. Faccio anche rifornimento di un paio di litri d’acqua, dato che adesso mi toccherà fare un altro tratto di 30km senza l’ombra di una fonte.

Al posto del panino, mi sarebbe piaciuto fare un pranzo a base di arrosticini al leggendario Ristoro Mucciante, che è poco più avanti… ma la tappa di oggi sarà lunghissima: non sarebbe una buona idea fermarsi troppo a lungo e con questa ressa di turisti le attese bibliche sono assicurate.

Riprendo la bici, e via in direzione EST per un altro luogo simbolo di questo MAGS: il Canyon dello Scoppaturo!

Dal Canyon, dopo uno stretto e tecnico sentierino in salita ed una discesa attraverso i prati, arrivo al Ristoro Mucciante. Da lì, seguo la strada asfaltata verso Castel del Monte, finché non devio sulla sinistra per proseguire lungo una carrareccia nel bosco.

Ed è così che scopro la Vallestrina, un posto stupendo. Non faccio foto: devo risparmiare la batteria del telefono, poiché in caso di emergenza ho solo quello.

Dopo una bella salita, ed un bel single-track nel bosco, arrivo alla suggestiva Piana del Voltigno, ennesimo posto che scopro solo grazie al MAGS.

Al ristoro del Voltigno, strapieno di turisti, ne approfitto per prendere una coca cola. Riparto, e su comoda forestale all’ombra dei faggi attraverso il Voltignolo.

Finché non inizia la discesa. È tempo di valicare di nuovo il Gran Sasso, stavolta dalla sua estremità Orientale!

Qui succede una cosa assai particolare: non appena passo dall’altro versante, quello col Mare Adriatico per intenderci, vengo improvvisamente accolto da un bella vampata d’afa. Bentornato caldo!

La discesa su forestale è infinita. Non ho la minima idea di dove mi trovo, non sono mai stato in questi posti. Ad un certo punto, arrivo ad un gruppo di casette e c’è un cartello:

“Contrada Santa Maria, Comune di Villa Celiera”

Come Villa Celiera! Sono in provincia di Pescara? Quando ci sono arrivato?

Insomma, l’ultimo posto conosciuto era Mucciante, regno degli arrosticini, ed il primo posto conosciuto dopo Mucciante (seguendo il MAGS) è Villa Celiera, impero degli arrosticini. Che gli organizzatori stiano cercando di dirmi qualcosa?

Purtroppo devo ignorare tali messaggi così evidenti, confesso a malincuore, e proseguo per la mia traccia. Imbocco un piccolo sentierino, all’inizio un po’ chiuso dalle erbacce (sono già lontani i ricordi della sentieristica perfetta di Campo Imperatore!) ma che poi fortunatamente migliora.

Dopo un single-track infinito, in cui rimpiango per l’ennesima volta di non avere la bici scarica ed il reggisella telescopico, arrivo … ehm … qua:

Sì, devo scendere di lì. Come vorrei una bici scarica adesso!

Mi rassegno e scendo a piedi. Non senza aver prima fotografato un cartello, il quale giustamente non mi dice dove mi trovo, ma invece rende gloria a quello che evidentemente è il signore di queste (ignote) terre:

Proprio lui.

Scese le scalette, sulla mia destra, a due passi, c’è la Cascata del Vitello d’Oro…

…ma non me ne accorgo, svolto a sinistra seguendo un canale e lascio il tutto così, venendo meno all’ossequio dovuto al geotritone.

Scendo su asfalto verso Farindola, lungo una gola con una bella falesia di roccia dove vedo un gruppetto di scalatori arrampicare.

Alle 4 del pomeriggio, finalmente, Farindola.

La discesa è finita, ed ora mi toccherà pedalare.

Da Farindola, a 530m s.l.m., prendo la strada asfaltata che sale verso Rigopiano, fino a circa 900m s.l.m. Ogni tanto mi fermo a controllare la pressione delle gomme, ma niente sono gonfie: il mezzo non ha nulla che non va, sono le mie gambe che girano poco!

Prendo una strada su ghiaia che, fortunatamente in discesa, mi porta a Colle Mesole, e poi su asfalto fino al fosso sotto ad Arsita.

Ma ancora non sono ad Arsita. Infatti, per arrivarci, gli organizzatori del MAGS hanno pensato bene di farmi risalire lungo una strada ripidissima che la testa suggerirebbe di fare a piedi. Io la percorro ostinatamente in sella, ed arrivato in cima mi dà il benvenuto un signore complimentandosi di cotanta impresa da scalatore:

“Tu si’ nu matt!”

Mi fermo ad un bar di un ragazzo, dove ordino dapprima una birra, poi una coca cola ed un gelato, ed infine una granita al limone.

Riparto e mi fermo al supermercato, per qualcosa da mangiare lungo il viaggio e delle batterie di scorta per il frontalino: sono le sei del pomeriggio, pedalo da quasi 14 ore, e mancano ancora 40km alla conclusione del MAGS.

Appena uscito da Arsita, prendo un sentiero che inizia con dei rovi, e che finisce in una bella pozza di melma. La mia bici è bella infangata, quindi perfetta per instagram una volta terminata “l’impresa”.

Incomincio a scendere in una valle dove non c’è nulla. La discesa è bella ripida, ed il fondo è sabbioso. Un terreno davvero particolare, perfetto per le mie ruote FAT.

Raggiunta la valle, sono circondato dal niente. Ogni tanto incontro qualche sparuta casa dove, immancabilmente, c’è un qualche cane a cui non devo essere molto simpatico.

Confesso che inizio a preoccuparmi: se la parte rimanente del MAGS è così, non sono così sicuro sia una buona idea farla, da solo, di notte.

Proprio mentre penso “ma davvero questa strada va da qualche parte?”, vedo un altro pazzo avventuriero venirmi incontro: è Maurizio! Gli organizzatori del MAGS sono venuti a salvarmi.

Insieme a Maurizio ed un suo amico (di cui ho dimenticato il nome, perdonami!) usciamo da questa valle e ci ritroviamo, con mia sorpresa, a Castiglione Messer Raimondo.

Foto con Maurizio, e con la sua bici edizione speciale “MAGS”
Chiesa di San Donato Martire (Foto di Maurizio)
Non sembra, ma era ripido! (Foto di Maurizio)

Tra chiacchiere e risate, Castiglione, Castilenti, e Villa San Romualdo scorrono via in un baleno.

A notte inoltrata arriviamo alle due famigerate frazioni, una l’ultima nella provincia di Teramo, l’altra l’ultima nella provincia di Pescara, i cui nomi sono studiati in modo da invogliare il viandante a proseguire e mettere piede nella provincia confinante.

Colle della Morte, ultima frazione della Provincia di Teramo
Colle d’Odio, ultima frazione della Provincia di Pescara

Ormai siamo arrivati agli sgoccioli. Dopo alcuni sali-scendi, ed una piccola deviazione fuori traccia per visitare il centro di Città Sant’Angelo, arriviamo al punto da cui tutto è cominciato, e alla fine di questa “avventura”.

È arrivato il momento della foto: la bici è pronta dopo il bagno nella pozza di fango ad Arsita.

Fine.

P.S. 1: Se siete arrivati fin qui, beh complimenti! Avete completato un “MAGS virtuale”.


P.S. 2: Vi ricordate dell’orsetto? C’era veramente!

Agosto 2020 – MAGS (Parte Seconda)

[Continua da qui.]

Secondo Giorno

Seguo un traverso che conosco molto bene e che mi porta a Cusciano. Il lavatoio del paese mi avrebbe fatto molto comodo per lavare i panni…

Sono molto fortunato, e l’alba mi saluta proprio nell’ultimo punto da cui avrei potuto godere della vista della Vallata del Vomano.

Percorro la discesetta che mi porterà al “Porcellino”. Sono molti anni che non passo di qui, e sono scettico sulle condizioni. Devo parzialmente ricredermi: a parte qualche erbaccia nel tratto iniziale (che ho fatto a piedi) ed un punto franato alla fine (che ho fatto a piedi), riesco ad arrivare senza particolari intoppi a valle, sulla Statale 80, detta anche la “Strada Maestra” del parco.

Adesso mi aspettano una trentina di chilometri di comodo asfalto, in una fresca e scenografica gola dove scorre il fiume Vomano.

Pedalo pian pianino, cercando di interpretare i segnali che vengono dal mio corpo. In particolare mi interessa capire se ho risolto il problema con la sella. Dopo i primi 25km di tappa, decido che è ora di fare colazione e mi fermo all’alimentare di Aprati, dove mi faccio fare due panini con bresaola e formaggio. Uno lo mangio subito. Caffè, bisogni, e si riparte.

Arrivo allo sbarramento di Provvidenza, dove lascio la Statale 80 per entrare nella Valle del Chiarino.

Qui si sale su comoda forestale fino a poco prima del rifugio Fioretti. Alla fonte del campeggio poco prima del rifugio, riempio tutte le mie riserve idriche: la prossima fontana la rivedrò tra trenta chilometri e dall’altro lato del Gran Sasso, ad Assergi…

Ne approfitto per mangiare anche il secondo panino, e per scattare qualche foto.

Devio sulla destra per un lungo traverso nel bosco.

Ad un certo punto, mi accorgo di non avere più il cellulare! Torno indietro per qualche centinaio di metri, e fortunatamente lo ritrovo sul sentiero. Rischio scampato.

Uscendo dal bosco, in un prato, incontro un signore che mi chiede, a parte se la bici sia elettrica, dove vado. Non avendo studiato per bene la traccia, rispondo “al Rifugio Panepucci”. Lui mi dice che andare al Panepucci con la bici così carica è difficile, e che se davvero devo andare lì di non seguire i segnavia CAI (infatti non dovrò seguirli).

Poi incomincia una strana conversazione…

Lui: “Ieri ero anche io in mountain bike, e lo vedi quel prato lì? Lì ieri c’era un orso. Stava mangiando un cavallo morto ucciso dai lupi.”

Io: “Ha incontrato un orso?”

Lui: “No, no. C’era la forestale che è arrivata a tenere d’occhio l’orso mentre mangiava”

Io: “Quindi l’orsetto dalla Marsica è arrivato anche qui nella Laga”

Lui: “Macché orsetto, è un maschio adulto da XXX chili”

Io: “Ok…”

Ci salutiamo, e mi addentro di nuovo nel bosco. In effetti non dovrò andare al Panepucci, ma continuare il traverso fino ai piedi del Monte San Franco, per poi svalicare.

Ad un certo punto, praticamente nel tratto più chiuso del bosco, sento un verso abbastanza inquietante che pare essere di un animale molto grande.




Faccio un po’ di rumore, ma non sento più nulla. Con la mente che pensa all’orso (maledetto signore!), un po’ guardingo (ed un po’ a spinta) vado avanti… finché non arrivo in un prato ai piedi del San Franco, dove ho una vista magnifica sul Lago di Campotosto.

Ormai ci sono, e valico il Gran Sasso dalla sua estremità Occidentale. Finalmente, la Valle del Vasto!

Sono le tre del pomeriggio, e non ho ancora problemi con la sella. Le modifiche apportate al mattino si sono rivelate azzeccate.

La Valle del Vasto è il primo tratto di vera discesa di questo MAGS, dopo 140km e non so quanti mila-metri di dislivello alle spalle. Un po’ per recuperare qualcosa sulla tabellina di marcia, un po’ scaricare i nervi, mi lancio a capofitto, e la attraverso “a tutta”.

In poco più di un’ora sono già ad Assergi, dove incomincia una leggera pioggerellina. Il tempo di riorganizzare le mie cose perché non si bagnino, che subito smette. Anche il meteo mi prende in giro!

Incomincio a ragionare su dove potrei fermarmi per la notte. Mentre sono a Fonte Cerreto, telefono ad un po’ di hotel e campeggi, ma nulla. Nessuno risponde, qui a ferragosto è strapieno di turisti.

Decido di proseguire fino a Santo Stefano di Sessanio, anche se non sono sicuro di quanta strada dovrò fare per arrivarci e quindi se sia fattibile arrivare prima che faccia buio. Ricordo che all’ingresso di Santo Stefano c’era un camping, magari riuscirò a piazzare la tenda in un posto un attimo attrezzato anziché allo sbaraglio come la sera precedente (ah, bello sognare!).

Il mio è un rischio calcolato: conosco una traccia che va a Santo Stefano, e suppongo che il MAGS ripercorra la stessa…

…ma invece no, il MAGS mi farà fare un’altra strada….

…che si rivela essere il tratto più S-P-E-T-T-A-C-O-L-A-R-E dell’intero giro.

Arrivo a Santo Stefano di Sessanio verso le sette di sera. Sono passati 190Km dalla partenza del MAGS, e quasi 5000 metri di dislivello.

Il campeggio lo trovo chiuso, ma trovo anche decine di camper e qualche tenda che sostano in un piazzale. Metto la mia affianco ad altri ragazzi, e raggiungo a piedi il paese per prendere un po’ d’acqua.

Tornato alla tenda, organizzo le mie cose. Quindi trovo una pianta e, lì dietro, mi faccio un’altra doccia a base di borracce. Deodorante, vestiti nuovi, e vado in paese. Stasera niente bucato, vada come vada domani ho intenzione di proseguire fino all’arrivo, anche dovessi pedalare qualche ora col buio.

Dopo aver pedalato per tutto il giorno, con l’energia dei due panini comprati ad Aprati e dei maritozzi di Bisenti, cerco un posto dove mangiare qualcosa di sostanzioso. Giro 5 ristoranti diversi, ma sono tutti pieni e non hanno posto neppure per una persona.

Esco un po’ dal centro e, guidato da OpenstreetMap, arrivo ad un ristorante: “Residence Il Palazzo”.

Io: “Avete posto?”
Vecchietto: “Solo se non ha fretta”
Io: “Ok”

Sono già le nove e mezza di sera, sarebbe anche ora che andassi a dormire, ma mi rassegno a dover aspettare. Il posto è anche più pieno degli altri ristoranti…

Mi guardo intorno e mi rendo conto che questa è già la terza volta che mangio qui. Le altre due volte che sono stato a Santo Stefano, nessuna delle due in alta stagione, questo posto era l’unico aperto.

Neanche passa un quarto d’ora, che arriva la mia cena a base di lenticchie, vino, e grigliata. Il vecchietto mi ha imbrogliato!

Mangio, soddisfatto, e riesco a lasciare il ristorante per le dieci e un quarto. Non senza aver avuto un altro scambio di battute col vecchietto:

Io: “Mi aveva detto che ci sarebbe stato da aspettare”
Vecchietto: “Se non l’avessi detto, lei avrebbe incominciato a chiedere quando arrivava la sua cena”
Io: “Dipende da chi incontra”
Vecchietto: “Quello è sicuro”

Seconda notte in tenda, satollo, pulito, e senza animali molesti intorno. Dormo soddisfatto per 5 ore, fino alle 4 del mattino.

Terzo Giorno

[Continua qui.]

Agosto 2020 – MAGS (Parte Prima)

Da dove cominciare…

Non ho mai fatto passare così tanto tempo prima di scrivere la storiella di un giretto, ma questa volta ho dovuto fare un’eccezione: al mio rientro, dopo appena tre giorni lontano da internet, la mia casella di posta elettronica esplodeva di lavoro arretrato.

Inizio a scriverla ora, dopo tre settimane, rinvigorito da una “Franziskaner Weissbier” comprata alla Despar in quel di Bolzano, e ormai lontano nel tempo e nello spazio dalla terra natìa (l’Abruzzo).

La storia inizia una sera ai primi di Luglio, quando ricevo una telefonata inaspettata da un numero sconosciuto.

Rispondo a quella chiamata alquanto scocciato, pensando si tratti del solito operatore Sky che cerca di vendermi una qualche offerta (quante volte dovrò ripetere che non ho un televisore?). Dall’altra parte del telefono, invece, c’era Maurizio, uno degli organizzatori del “MAGS”.

Ma cos’è questo “MAGS”? Il MAGS, “Mare Adriatico – Gran Sasso” è un trail, ossia un’avventura in solitaria (se lo si vuole) che, dal Mare Adriatico al Gran Sasso (per l’appunto), attraversa tutta una serie di luoghi stupendi lungo strade secondarie, carrarecce, e sentieri. Tutto questo giretto ammonta a un totale di circa 330km per 8300 metri di dislivello, che potrebbero sembrare pochi, ma che in realtà sono abbastanza problematici per una serie di aspetti legati al territorio.

Maurizio mi dice che il MAGS, che era stato annullato per via della pandemia, si farà in modalità “unsupported”, ossia senza la partenza collettiva (ognuno per sè). Che, guarda caso, era proprio la modalità a cui mi ero iscritto!

Maurizio mi chiede se va bene partire o se voglio annullare, ma io di annullare non ci penso nemmeno e accetto di corsa!

Agganciato il telefono, però, incomincio a fare i conti con la realtà…

Sono abbastanza fuori allenamento, e ormai avevo rinunciato completamente alla prospettiva di poter partecipare al MAGS. Il lockdown, complice un periodo di “smart working” particolarmente intenso, mi ha lasciato un’eredità di 5kg in più sulla bilancia…

È passato appena un mese dal mio primo giro post-lockdown: 3km, 300 metri di dislivello, e 10 ore di sonno per riprendermi dal trauma!

Insomma, dopo la telefonata di Maurizio mi son messo in testa di riottenere una “parvenza” di forma in poco più di un mese. Incastrando i vari impegni quotidiani, ho cercato di fare uscite brevi (circa un’ora) quasi tutti i giorni, e nella settimana prima del MAGS ho inanellato i miei due giri più lunghi dell’anno, che mi hanno tenuto in sella per più di 8 ore ciascuno.

Da Gennaio, quindi in sette mesi, non avevo percorso neanche 900km in totale. Mi sentivo comunque pronto a percorrerne 330 in tre giorni.

Tornato in Abruzzo, ho avuto solo un paio di giorni utili per preparare tutto il necessario. Ho già partecipato a un trail in passato, per l’esattezza il South Tyrol Trail (STT) nel 2017. Eppure, la preparazione del materiale per questo giro è stata completamente diversa rispetto a quella volta.

Prima di tutto, il mezzo: all’epoca usai “La Regina delle Corse”, una gloriosa Atala Flyer anni ’90 che ancora adesso macina chilometri ogni giorno, sempre fiera, per portare la mia ragazza al lavoro.

Questa volta userò “Cicciosprint”, una FAT bike in carbonio che è un mezzo nettamente più idoneo per questo tipo di avventure.

Poi, c’è il capitolo equipaggiamento.

Innanzitutto, l’acqua nel STT non è mai venuta a mancare, mentre nel MAGS sono presenti diversi tratti anche lunghi senza l’ombra di una fonte, di un bar, o addirittura di una qualche anima che non sia quella di un cane che ce l’ha a morte con i ciclisti. Quindi, ho avuto bisogno di più spazio di quello consentitomi dal solo zainetto sulle spalle (sì, nel STT sono partito armato di un solo zainetto da 14 litri e ciò fu, grazie a tanta ma tanta fortuna dal punto di vista meteo, “sufficiente”).

Perciò, mi sono comprato una borsa sotto-sella (impermeabile), così da avere altri 20 litri di spazio dove poter aggiungere la roba che mi servirà.

E di roba ne porterò dietro tanta, forse troppa.

A parte le bottiglie di plastica per fare rifornimento d’acqua, mi porto dietro:

  • La tenda. Questa non l’avevo nel STT, ma in Abruzzo non ho il coraggio di bivaccare dove capita (troppi animali selvatici/randagi in giro, dentro una tenda mi sento molto più tranquillo);
  • Notte: Materassino, cuscino, lenzuolo, e sacco a pelo;
  • Bucato: Sapone di Marsiglia;
  • Igiene personale: Occorrente per l’igiene personale, ossia doccia-schiuma, spazzolino, dentifricio, deodorante (ne servirà molto), mini panno in microfibra;
  • Riparazioni: Multitool con smaglia-catena (al STT ho dovuto smagliare la catena 5 volte!), toppe, camera d’aria di scorta (da FAT bike, quindi un canotto sgonfiato), e una pompa;
  • Vestiario: Una copia del mio abbigliamento come scorta (t-shirt, pantaloncini, e intimo), due maglie a maniche lunghe, una mantellina in nylon, una giacca e pantaloni antipioggia, uno scaldacollo, guanti;
  • Emergenza: sacco da bivacco e telo d’emergenza.
  • Elettronica: Cellulare, Garmin, due powerbank da 5000mA, svariati cavetti, lampada frontale e lampadina rossa posteriore.
  • Acqua: Oltre alla borraccia da 750ml, due bottigliette da 500ml.
  • Altro: Crema solare, costume da bagno, occhialini, spray anti-aggressione (per malaugurati incontri con cani particolarmente aggressivi).
  • Orchidea

Il Garmin, per la navigazione gps, sono riuscito a procurarmelo solo la sera prima della partenza, consigliato da un mio amico. Non me la sono sentita di affidare la navigazione al solo cellulare, dato che ormai è vecchiotto (uno Huawei del 2014). Inoltre, avere due dispositivi in grado di eseguire la navigazione, anziché uno, mi permette di seguire la traccia anche in caso di guasto di uno dei due.

Incomincio a configurare il Garmin, e provo a caricare la traccia del MAGS (che non ho ancora trovato il tempo di studiare)…

…attimi di panico, il Garmin non riesce a caricare la traccia!

Cerco di capire il problema, e mi accorgo che ci sono diversi tratti del gpx con segmenti “dritti”, come se mancassero dei dati. Fortunatamente, Maurizio e Moreno mi aiutano a risolvere il problema.

Ecco il giro che andrò a fare!

Bene, sono pronto… anzi no! Devo ancora finire di preparare la bici, inoltre è notte e i supermercati sono ormai chiusi… mi toccherà partire con sole tre barrette.

Arrivo a Città Sant’Angelo verso le otto e mezza del mattino. Dato che devo incontrarmi con gli organizzatori prima della partenza, non sono voluto partire troppo presto costringendo i poveretti ad una levataccia…

D’accordo, in realtà ero io a non voler fare una levataccia… e visto che ho finito di preparare tutto che era ormai mezzanotte, non penso di aver fatto male.

Alla partenza, Moreno e Giancarlo mi dotano di un dispositivo bellissimo direttamente dal futuro cyberpunk: un “tracker”, che dà la mia posizione in tempo reale a chiunque abbia il link per poterlo seguire (link che prontamente ho spammato su Whatsapp e Facebook per fare un po’ il gradasso).

Alcune foto (di Moreno) di rito…

Inaspettatamente, arriva anche Daniele (un altro organizzatore) col suo completo da cavaliere oscuro, che mi accompagnerà per alcuni (diventeranno un bel po’ di) chilometri.

E via! Si parte!



Anzi no! Attimi di panico: come si imposta la navigazione di un gpx sul Garmin? Incomincio a smanettare con la diavoleria elettronica, le mie dita si destreggiano con agilità e sicure, dando sfoggio di due lauree e un dottorato in informatica…

Nel mondo dei sogni. Come un coglione qualunque, premo tasti a caso finché riesco finalmente ad impostare la navigazione, solo dopo aver provato esaustivamente tutti i menù del Garmin.

E via! Si parte! (x2)

Il giro inizia in tranquillità, sulla ciclabile del lungomare…

… e all’ombra della pineta.

Pedalo tranquillo, godendomi il fresco della pineta. Questo MAGS mi piace proprio!

Ma presto, maledettamente presto, abbandoniamo la mia amata pineta, e incominciamo a inerpicarci per una rovente salita su ghiaia sotto il sole cocente. È già arrivato il momento in cui la maglietta lascia il posto alla crema solare.

Il panorama alle nostre spalle è comunque di tutto rispetto.

Salita che ci porterà a Mutignano, primo piccolo gran premio della montagna.

Scendendo da Mutignano, incominciamo già a vedere i primi calanchi…

… e poi di nuovo in salita, verso l’Atri degli Acquaviva…

… e, soprattutto, dell’Oasi dei Calanchi.

Il Gran Sasso incomincia ad avvicinarsi!

Foto scattata da Daniele

Ma è ancora presto, ce n’è di strada da fare! Infatti, perdiamo tutto il dislivello faticosamente guadagnato buttandoci vertiginosamente in una caldissima Valle del Piomba.

Percorriamo un sentiero su ghiaia che costeggia il torrente Piomba, tra canneti e zanzare, finché non torniamo sulla Statale 81. Dopo un breve tratto di statale, incominciamo una salita abbastanza impegnativa verso Bisenti. Il sole non aiuta, e Daniele (che viaggia bello scarico) comincia a mostrare di avere un passo decisamente superiore al mio.

Per riprendere un po’ il fiato, mi invento la scusa che devo scattare un po’ di foto. Il Gran Sasso si fa sempre più maestoso.



Dopo una bella sfacchinata, e qualche su e giù nel comune di Montefino (l’unico comune della provincia di Teramo in cui ancora non ho mai messo piede), finalmente, verso l’una del pomeriggio, arriviamo a Bisenti.

Lì troviamo un bar aperto, e Daniele mi offre il pranzo: una birra, due maritozzi (che metterò nello zaino), due pizze e un gelato. Non sono economico, io.

Saluto Daniele, che mi ha accompagnato per ben 50km di “defaticamento” dopo il suo giro mattutino di 100km, e continuo il mio viaggio sotto il solito sole rovente. Mi aspetta una dura salita che mi porterà a Befaro, noto anche come Santa Maria della Neve, minuscolo “paese” di collegamento tra la Vallata del Fino e il comune di Castelli.

Capisco di essere arrivato quando vedo questa casa vittima dei calanchi (di cui ho anche conosciuto gli eredi).



Il cartello mi toglie ogni dubbio.



Sono arrivato a Befaro, e sono già le tre del pomeriggio. Davanti a me ci sono ancora 400 metri di dislivello fino al Rifugio Faiani (900m s.l.m.), dove si trova la fine di questa salita incominciata a Bisenti.

Il Gran Sasso è ormai alle porte, e presto le campagne verranno sostituite da bei boschi di faggi.

Ma io ho dei problemi. Sono molto stanco, ho i piedi a fuoco (partire con le Five Ten chiuse forse non si sta rivelando una scelta vincente), e ho problemi con la sella… ho lo stimolo continuo di dover fare pipì.

I 900 metri del Rifugio Faiani mi danno un po’ di fresco in più, e mi lancio in discesa verso i boschi sopra Castelli. Ci sono svariati sali-scendi, e diciamo che non sempre i sentieri sono nelle condizioni in cui vorrei trovarli…

Alcune discese sono davvero toste da fare con la sella alta e la bici a pieno carico, ed in alcune salite tocca spingere.

Ma dopo tanto penare…

…finalmente…

Il Corno Grande!

La montagna di casa.

Arriva anche un ruscelletto, il primo dopo tanti chilometri. Ne approfitto per togliermi le scarpe, e buttarci i piedi dentro, cercando di riportarli in temperatura.

Riparto e arrivo, scendendo da una ripida scaletta in legno, a Isola del Gran Sasso. Da lì, su asfalto, arrivo a Ornano Grande, dove mi fermo all’hotel di un amico a rinfrescarmi e cenare. Sono passati 86km, e circa 2400 metri di dislivello.

Cerco di capire dove poter dormire. Non sono in buone condizioni, ed avrei proprio bisogno di una doccia. Ormai sono dalle mie parti, ma nonostante ciò non mi viene in mente alcun punto dove vi sia un fiume o un torrente dove potermi rinfrescare.

Quindi mi arrangio. Decido di arrivare in un paesino, Aquilano, e di piazzare la tenda in un punto dove spero di non venir molestato da cani randagi o cinghiali (purtroppo la zona è piena di entrambi).

Faccio avanti e indietro alla fonte del paese, rifornendomi d’acqua, e improvviso una doccia a base di borracce. Dopo essermi rinfrescato e cambiato d’abito, faccio il bucato alla fonte e mi metto a dormire.

Mi sveglio verso le tre e mezza di notte, all’ennesimo fruscìo proveniente dal fosso, provocato da chissà quale animale. Decido che è meglio rimettersi in cammino, con quattro ore di sonno alle spalle. Esco dalla tenda, e la bici mi attende con una ruota a terra.

Smonto la tenda, sgonfio il materassino, re-infilo tutto nelle sacche di compressione… metto su i faretti, e via!

Secondo Giorno.

[Continua qui.]

2019 – Giugno: Rifugio Tschafon

A pasquetta sono rimasto incantato dal panorama che si poteva ammirare dal Rifugio Tschafon, rifugio adagiato in un prato in cima al monte Cavone, sopra la cittadina di Tires. Mi ha colpito anche la ripidissima stradina utilizzata dai mezzi di servizio al rifugio. Non c’era nessun escursionista a salire per quella via battuta dal sole, ma tutti erano sul ben più dolce (e panoramico) sentiero che si snoda a lato di essa.

In cima vi erano diverse e-bike, e così mi è venuto il pallino di creare un giro che passasse di lì.

Ho il sabato libero, e propongo a Gianluca di andare a fare un giro stile enduro per affinare la tecnica in discesa. Purtroppo Gianluca ha impegni di lavoro, e quindi ripiego per un’escursione in puro stile All Mountain. Mappa alla mano, incomincio a tracciare una via che, partendo da Bolzano, si inerpica verso il rifugio Tschafon passando da Tires. Ovviamente inserisco la diabolica salita che tanto mi aveva colpito.

Il responso di Google Earth è impietoso: un chilometro attorno al 25%, fino a punte del 35%. La parte in discesa, inoltre, è un po’ un’incognita… cerco di unire sentieri in maniera tale da evitare il bitume, ma non sempre ciò è possibile. Le curve di livello mi mettono in apprensione per gli ultimi 500 metri di giro, in cui la traccia “precipita” da Aica di Sopra giù nella valle dell’Isarco, sfiorando pendenze di oltre il 50%… Penso che ci sia qualche errore con la mappa, ma in ogni caso mi preparo un piano di riserva.

Propongo questo giretto su un gruppo Whatsapp creato da Gianluca, e mi risponde Gianfranco che si unisce all’avventura con la sua ebike.

L’indomani mattina partiamo da Bolzano ed incominciamo a salire verso Tires, lungo la vecchia strada che si snoda lungo la Thierser Tal. Di tanto in tanto ci guardiamo attorno alla ricerca di sentieri che vadano da qualche parte, ma purtroppo tutti paiono essere delle semplici vie d’accesso a dei capanni privati.

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Un po’ rammaricati continuiamo a salire lungo questo grande serpentone nero in mezzo al nulla, finchè non raggiungiamo la strada principale e Tires.

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La salita da Tires verso il sentiero 4B incomincia a svelarci i primi contorni del maestoso Rosengarten.

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Il sentiero 4B si  rivela essere un vero e proprio parco giochi in cui divertirsi tra rocce e radici in salita. Ci sono anche un paio di passaggi che sono decisamente trialistici.

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Il sentiero diventa via via una più comoda, anche se meno divertente, strada forestale. Gettonata meta di svago delle mucche locali.

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Dopo circa 2 ore e mille metri di dislivello arriviamo all’incrocio con la WeissLahn, l’ultima (e terribile) asperità prima del rifugio Tschafon…

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Qui si trova un suggestivo laghetto con una splendida vista sulle dolomiti…

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Alcune mucche sembrano apprezzare particolarmente…

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Da questo paesaggio bucolico parte la salita infernale verso il rifugio. Metto la mia fida “Disonorevole”, magnifica corona da 22 denti bandita dai bikers moderni perchè immorale, ed incomincio a scalare questo fatidico ultimo chilometro e quasi 300 metri di dislivello per arrivare al rifugio.

Nonostante faccia di tutto per recuperare energie, intervallando ad ogni colpo di pedale una buona frazione di secondo in cui sono completamente immobile ed in surplace (quindi, in sostanza barando in maniera ancor più disonorevole), nel tratto più duro devo comunque mettere il piede a terra per rifiatare un attimo… sono andato fuori giri. Il problema principale è dato, incredibilmente, dalle braccia: la bici è talmente impennata che devo scaricare tutto il peso in avanti per non ribaltarmi. Qualche flessione in più a casa avrebbe sicuramente aiutato….

Dopo qualche attimo di sosta, riparto.

In più di un’occasione rischio di perdere l’equilibrio e di dovermi fermare, sto comunque salendo ad un’andatura particolarmente lenta e l’equilibrio è molto precario. La sfida, in verità un po’ inutile, rimane comunque quella di arrivare al rifugio “in sella” e voglio farcela.

Dopo 29 minuti interminabili sotto il sole a picco, Gianfranco immortala la maestosità  di  Rosengarten, ed il mesto me che riesce a vincere questa piccola sfida contro l’inclinazione positiva.

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La struttura del rifugio è molto suggestiva, e la vista che si può godere dai tavoli è sul Rosengarten, la quale non è di certo una montagna qualunque.

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Una foto la merita anche il ferro (in tutti i sensi) con cui è stata conquistata la vetta, con la catena ben salda sui denti della Disonorevole.

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Immancabile, la foto con le nostre meritate bionde.

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Dopo un lauto pasto ed una lauta ricarica, incominciamo la discesa verso Aica di Sopra. Purtroppo, però, scopriamo ben presto che tutto quel versante di montagna è stato devastato dalle tempeste di vento di pochi mesi fa.

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Il sentiero è ostruito, ma con un po’ di portaggio riusciamo comunque a passare la parte più malmessa e persino a fare qualche passaggio in sella.

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Solo più a valle scopriremo che, in  realtà, il sentiero è chiuso (inspiegabilmente il cartello di divieto era a valle ma non a monte).

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Da qui in poi è tutto un susseguirsi di pascoli e cancelli, cancelli e pascoli… e comode carrarecce a collegare il tutto..

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Purtroppo prendo una buca un po’ troppo profonda… e mi tocca proseguire con un raggio in meno..

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L’ultima parte del giro, quella con la parte “dubbia” sulla mappa, si rivela in realtà essere meno complicata di quanto temessi. Sebbene ci sia infatti una linea verticale sostanzialmente impercorribile, essa è affiancata da un sentierino a zig-zag che, seppur molto sporco, ci permette di concludere il giro senza particolari intoppi.

Link Relive, con traccia GPS: https://www.relive.cc/view/2433326307

2019 – Febbraio – The White Trail

Solitamente lascio trascorrere un po’ di tempo prima di scrivere il resoconto di un giretto. Lo faccio primo per organizzare un po’ i pensieri, così da separare le cose importanti da quelle irrilevanti, secondo perché deve passare del tempo prima che mi decida sul come raccontare una storia.

Questa volta incomincio a scrivere all’indomani del mio TWT. L’adrenalina è ancora tutta nelle mie vene, e con un po’ di fortuna, forse, si tramuterà in parole.

Il TWT è una candida traccia di neve bianca che, per circa 60 chilometri e 2000 metri di dislivello positivo, si perde tra le montagne che separano Merano da Bolzano lungo la direttrice Nord-Sud, e Merano dalla Val Sarentino lungo la direttrice Ovest-Est.

Con questa storia partirò dall’inizio, ovvero dall’iscrizione al TWT. Proprio un attimo prima di iscrivermi, leggo che il luogo della partenza è un paese dal nome per me irricordabile: Falzeben.

Dove si trova? Che roba è?

Non essendo automunito, decido di chiedere a Maurizio (l’organizzatore dell’evento) se sia facile raggiungere il posto (di cui ho già dimenticato il nome) con i mezzi pubblici.

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Telefono alla SAD, e l’operatrice al telefono mi dice che la bici va nel bagagliaio del bus, se c’è posto.

Ok mi dico, tentiamo la fortuna.

Faccio l’iscrizione alle 5 di pomeriggio del giorno prima della partenza, ed a quell’ora incominciano anche i miei preparativi per il TWT.

La mia deadline per IJCAI é martedì, e questo significa che devo riuscire a finire il trail in un giorno (sabato) perché la domenica dovrò lavorare.

Inoltre, è tassativo finirlo prima che l’ultimo bus lasci le montagne… e me al mio freddo e misero destino!

Quindi, studio un piano geniale quanto semplice: non fare alcuna pausa pranzo e pedalare “a tutta” senza alcuna sosta. Per riuscirci, mi reco al supermercato e prendo una quota di sicurezza di barrette e sesamini (talmente di sicurezza che all’arrivo ne avrò ancora ben quattro confezioni).

Preparo lo zainetto, ed anche qui mi metto in condizione di sicurezza:

– Giacca impermeabile;
– Seconda giacca impermeabile di Nylon (pesa poco, la porto sempre);
– 4 Maglie a maniche lunghe, due estive e due invernali;
– Copripantaloni;
– Fascette da elettricista;
– Due power bank e relativi cavetti;
– Carta igienica;
– Telo termico d’emergenza;
– Lampada frontale, e 3 batterie di riserva;
– Nastro isolante;
– Forbicetta (per tagliare il nastro isolante)
– Tessera CAI, documenti, chiavi, etc.

Porto la bici in cucina, e nei tempi morti della preparazione della cena incomincio smontare la catena per eliminare il deragliatore: peso inutile!

Inoltre, cambio anche il sellino e metto quello bello imbottito da dieci euro della Regina delle Corse. Lo stesso sellino che l’ultima volta (correva l’anno 2017) mi ha permesso di terminare in maniera dignitosa, pur non usando alcun fondello, il South Tyrol Trail.

Preso dalla fretta di andare a riposare (ho il treno alle 6:26 del mattino), monto il reggisella al contrario!

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Lo smonto e lo rimonto correttamente di fretta, sul treno, di nascosto come un ladro (sia mai che qualcuno mi veda armeggiare con chiavi esagonali sul treno e mi scambi per un vandalo!)

Inoltre, l’asciugatura del secondo paio di “pedalini” (che ovviamente ho tirato fuori dai panni sporchi e lavato, a mano nel lavandino, solo all’ultimo momento) avviene grazie al servizio riscaldamento vagoni gentilmente offerto da SAD.

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Col bus non ho problemi, e riesco ad arrivare a Falzeben ben in anticipo rispetto alla partenza di gruppo. Scambio quattro chiacchiere con Maurizio, il quale fa opera di terrorismo psicologico e mi inculca l’idea che dovrei partire prima delle 9:30 se voglio arrivare prima che cali il buio.

Siccome sono un gran fifone ed ho tanta paura persino del buio della mia cameretta, ingoio in un boccone il mio cornetto, bevo “alla calata” il mio cappuccino, e parto all’avventura!

L’inizio è fantastico, una strada spianata bene bene da dei macchinari bellissimi che rendono la pedalata così piacevole, una pacchia!

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Che bello questo TWT!! Una passeggiata! Guardo quelli che si involano con gli sci e penso che siano matti a scendere così veloci da pendii così ripidi. Oppure quelli che salgono con gli sci ai piedi, chissà che fatica! Ancora più matti.

La mia passeggiata di piacere è presto interrotta dal cellulare, il quale mi indica che devo lasciare la bellissima autostrada che mi piaceva così tanto e svoltare a destra per uno stretto, bucherellato e poco rassicurante trail con una neve che non sembra neppure imparentata con quella di poco prima: sapone! Inoltre, scopro a mie spese che uscire anche di solo un centimetro dalla neve battuta significa sprofondare per chilometri tra le grinfie di una neve che nulla ha da invidiare alle sabbie mobili.

Ed è solo un assaggio! Poco dopo, infatti, mi toccherà scalare una montagna con la bici in spalla.

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Insomma, bella fatica! Però che panorama! Inizia un plateau talmente bello che è impossibile descrivere, quindi non lo farò.

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Sferzato dal vento, nonostante la pianura mi tocca spingere! Infatti ci sono degli accumuli di neve davvero strani: sembrano essere alti solo pochi centimetri, ma quando ci metto il piede dentro ecco che precipito in un abisso senza fondo! Inoltre, il vento rende difficile seguire la stretta traccia di neve battuta, ed uscire da questa traccia significa sprofondare! Per fortuna davanti a me ci sono delle persone ben più esperte di me che riescono, come maghi, ad evitare le sabbie mobili… altrimenti chissà dove sarei andato a sprofondare.

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Passato il plateau, mi imbatto in una persona che ormai incontro in ogni trail: la mitica donna d’acciaio Laura Ceccon! Ormai poverina crederà che io la stia stalkerando, data la frequenza con cui ci incontriamo. Laura, tranquilla non sono uno stalker!

Quasi ad aver appreso l’arte, come un mago leggero salgo su per una via che mi permette, bici in spalla, di salire senza mai sprofondare fino agli Omini di Pietra. Data l’infausta sorte che è toccata ad altri partecipanti ben meno avvezzi alle magie, ne deduco che le streghette regine della montagna mi abbiano voluto dare un aiuto. Del resto ci conosciamo bene, questa è già la terza volta che vengo qui nel giro di pochi mesi. Ed ancora non sono un sasso!

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Scendo insieme ad altri partecipanti, quindi posso finalmente scattare una foto con qualcuno (ma chi??) in sella circondato dalla neve. Bello!

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Arrivato a Malga Moeltner, imbocco un sentierino stretto, scivoloso e divertentissimo, per me il più divertente di giornata. Questo sentiero mi porta su una forestale che si ricongiunge alla strada asfaltata per Meltina.

Arrivato all’incrocio del parcheggio, non capendo bene quale strada prendere, chiedo ad un altro partecipante che si trova lì in quel momento:

“Dove devo andare?”.

Quello mi fa:

“A sinistra!”.

Imbocco quindi il Sentiero Europeo E5, ma al contrario! Fino all’Edelweiss è un’infinita distesa di fango che, percorrendo il sentiero in discesa e quindi ad alta velocità, mi fa bagnare non poco.

Anche la bici soffre, e da qui in poi non andrà più come prima: un brutto rumore di ferraglia mi accompagnerà fino all’arrivo… fortunatamente rimanendo solo un rumore e non trasformandosi in niente di più serio.

Sporco come un cinghialotto, di tanto in tanto incontro altri partecipanti che mi vengono incontro (e che quindi hanno imboccato l’anello per il verso giusto!) che mi guardano come il coglione che sono.

Sporco, infangato e deriso mi tocca pure fare in salita ed a spinta dei ripidi single track che sarebbero stati divertenti se presi nel verso giusto..

Mi consolo sapendo che non sono il solo ad aver imboccato l’anello al contrario: mi raggiunge un altro partecipante, Gabriele, ed andando più o meno alla stessa velocità (e nello stesso verso) ci ritroveremo a fare un buon pezzo di trail insieme.

Sulla neve lui se la cava molto meglio di me, lo soprannomino subito il “piccolo gatto delle nevi”: in diversi tratti dove io vado avanti a bestemmie lui va via tranquillo. Molto bravo, ed io molto fesso (in aggiunta al coglione di prima) a venire con una gomma decisamente inadeguata.

Dopo un bel po’ di fatica, forse la prima volta che apre bocca esclama “mancano 20 chilometri!”. Tra me e me penso, “È fatta! E sono ancora pieno di energie!!”

Incomincio a pregustare l’idea dell’arrivo ben prima del tramonto… sono da poco passate 5 ore di pedalata, va che finisco in 7 ore??

Niente di più sbagliato.

Non passano neanche 5 minuti, che inizia un sentiero completamente impedalabile. Chilometri e chilometri di neve fresca, in cui tocca spingere, imprecare, e ancora spingere. Il tutto condito da dei “buchi” lasciati da chi è passato prima di noi.

Tutti i tentativi di rimanere in sella, soprattutto per via di quei maledetti buchi, risultano vani. È una neve beffarda, a vista pedalabilissima ma in pratica estremamente molle.

Passano le ore. Arriva la settima ora di pedalata e finalmente lasciamo quel sentiero impercorribile. Mi butto giù per un single track e scendo veloce, lasciando indietro Gabriele fermatosi ad armeggiare col cellulare.

Finita la discesa, incomincia una salita su neve battuta, finalmente pedalabile.

Decido di mangiare, e di mettere la maglia estiva sopra la maglia invernale. Il sole cala, ed incomincia a fare freddo.

Ad incominciare è anche il mio solito problema: forse anche per via del freddo, mi si chiudono i bronchi ed ho il fiato corto. Non riesco quasi a respirare e devo rallentare di molto. L’altitudine non gioca certo a mio vantaggio, e sarà un gioco di luce ma persino le mani mi sembrano violacee.

In queste condizioni, salgo per svariati chilometri finchè raggiungo Malga Voeraner, in cima a quella che allora credevo essere l’ultima asperità di giornata!

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Faccio un’ultima foto, e mi butto in discesa sperando che mi porti fino a Fals.. Falz… insomma, fino a quel posto lì.

Dopo i primi metri in discesa, Maurizio ci fa prendere il solito sentierino bastardo con la neve alta…

FREERIDE TIME!!

O meglio, FREESPINTA TIME!!!

Io credo che Maurizio, in realtà, non sia bastardo. Io credo che lui sia semplicemente un “trail builder” che ha trovato una maniera creativa e poco faticosa (per lui) di battere sentieri vergini!

Scendo per un lungo tempo, a piedi e nella neve alta, finchè non raggiungo una valle…

Una valle. Non Falzeben!

Falzeben è in alto! Tanto in alto.

Niente, alla soglia dell’ottava ora, ecco che mi ritrovo da solo, nel freddo, a pedalare.

Ma il fiato è troppo corto, ormai anche le forze iniziano a mancare. Almeno ritrovo un equilibrio, ed è proprio l’idea dell’equilibrio tra corpo, fiato, e mente, tutti parimenti sfiniti, a darmi lo spunto.

L’idea che posso riuscire ad arrivare in cima a quella salita.

In me c’è la sensazione di essere arrivato al limite.

La paura di essere da solo, in una valle chissà dove.

Il cellulare quasi scarico e la notte che, silenziosa, cala.

Intorno solo freddo e silenzio.

Ed io lì, che cammino sulle lastre di ghiaccio, e pedalo—ai minimi—dove posso.

Col fiato sempre più corto.

Tiro il freno.

Scendo dalla bici, ritrovo nella meticolosità la forza per proseguire.

Per prima cosa, prendo la giacca dallo zaino e la indosso.

Poi prendo la lampada frontale, e cerco di allacciare la cinghia sopra il casco, nella maniera che “mi sono inventato”. A casa mi veniva facile, ma adesso che è davvero il momento di farlo, con le mani fredde, proprio non mi riesce. Provo e riprovo, ed alla fine ce la faccio.

Accendo la lampada. Per fortuna, funziona.

Prendo un power bank, e lo attacco all’orologio che uso per registrare la traccia. Il cavo giusto è quello bianco, quello nero non va bene.

Prendo i sesamini, non una barretta. Cerco la normalità, la semplicità, la routine. Un’idea di casa in un luogo così ameno.

Mi incammino, spingendo la bici, e mangiando sesamini.

La bici, proprio quella. Un vantaggio di avere la Regina delle Corse al mio fianco, adesso, sarebbe stato proprio quello di avere in lei l’idea di casa. Con questa bici che avrò usato al massimo 5-6 volte, e che non ho mai particolarmente amato, è difficile.

Passa un po’ di tempo, e la normalità riporta le cose al suo posto. Il respiro si rilassa, mi sembra quasi che sia diventato più profondo. Il miele dei sesamini è ancora in bocca, e la lampada funziona.

Cosa c’è da temere?

Urlo nel bosco, e salgo in sella. Riparto, con rabbia. Il respiro si accorcia, ma non mi importa. Le gambe sono pesanti, ma non le sento.

Ogni pedalata è mossa esclusivamente dalla rabbia, rabbia che sposta un po’ più in là il mio limite.

Se manca il respiro, ne farò a meno. Se mancano le forze, ne farò a meno.

Arrivo in cima, ed inizia un sentierino in discesa.

Finalmente.

È ormai quasi buio, ed il sentierino è un traverso su di uno strapiombo. Vietato fare errori.

Sulla neve non mi fido, soprattutto delle mie capacità e delle mie vertigini. Smonto dalla bici, e pian piano scendo per il sentierino.

Mi raggiunge Gabriele. Noto che lui non ha ancora acceso la lampada. Mi pare logico… se mi ha raggiunto, vuol dire che è più lucido di me.

Manca un solo chilometro. Di salita.

La rabbia l’ho ancora in corpo, non ho voglia di passare al 22 e salgo col 36, con tutte le forze che ho in corpo…

Ma la salita è, seppur breve, troppo lunga. La rabbia da sola è inutile, ed alla fine la salita mi riporta alla realtà. Scendo al 22 e, pian piano, salgo e salgo.

Finchè non arrivano le prime luci di Falzeben…

Sono nel furgone, seduti affianco a me due partecipanti che mi hanno offerto un passaggio fino a Bolzano. Sono ancora stordito dalla fatica, ed i miei benefattori parlano del tempo di percorrenza. Per loro 8 ore e 30.

Già, il tempo. Accendo l’orologio, e leggo.

9 ore e 34 minuti.

 


 

Novembre 2018: Pietralba

Per il giro di questo sabato mattina ho scelto un (vecchio) itinerario di nonnocarb, targato difficoltà “media”: ha piovuto e diluviato per tutta la settimana, e questo ha precluso la fruibilità in sella di buona parte dei sentieri nei dintorni.

Parto in solitaria verso le otto del mattino e mi reco ai piedi della funivia del Colle. Decido di salire in funivia per due motivi: 1) sono l’unico utente della funivia e 2) le forti piogge dei giorni scorsi hanno creato non pochi problemi alla sentieristica, quindi meglio tenermi un po’ di margine con le ore di luce.

Scatto la classica foto sullo Schlern dal Colle dei Contadini.

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Dal Colle dei Contadini, pedalo una decina di minuti arrivando al Colle dei Signori e quindi all’imbocco dell’E5. Dopo poche centinaia di metri, la montagna mi dà un primo avvertimento.

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Non passano dieci minuti, che subito arriva un secondo avvertimento.

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Fortunatamente si tratta di alberi singoli, che riesco a superare. In realtà, non mi preoccupano molto gli alberi a terra, quanto quelli pericolanti sopra la mia testa. Quindi procedo con molta cautela, più con gli occhi puntati per aria che sul sentiero.

Dopo un po’ di chilometri (ed altri scavalcamenti d’albero) odo il dolce suono delle motoseghe a lavoro, e dal primo maso finalmente il sentiero torna ad essere bello pulito.

Dopo una piccola discesa su sentiero con fondo migliore di molte strade asfaltate, arrivo a Lupicino.

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Dopo uno strappo bello ripido in cui sono costretto a spingere, arrivo su di una magnifica radura erbosa da cui godo di una vista di tutto rispetto sullo Schlern e sul Latemar.

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Dopo una rapida discesa asfaltata, arrivo a Nova Ponente.

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Cerco di raggiungere il sentiero che mi dovrebbe portare a Pietralba ma, purtroppo, incontro questo…

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Ormai ho una certa esperienza, e so che se hanno messo un cartello vuol dire che c’è sicuramente un buon motivo. Quindi, dopo aver maledetto la scelta di usare un cartello di divieto di sosta per indicare un divieto di circolazione (e non è la prima volta che mi ritrovo a maledire scelte sconsiderate sulla segnaletica qui in Alto Adige), opto per la ritirata.

Decido di prendere il sentiero che scende nel fosso del Rio Vallarsa, che avevo già percorso una volta in bici da corsa e copertoncini da 23.

Arrivato nel fosso, incontro un cartello che sembra messo lì apposta per me: Pietralba 1:20 h. Decido quindi di seguire questo sentiero (il 5B), che mi fa risalire dall’altro versante del fosso: una salita RIPIDISSIMA, in cui mi tocca fare un bel tratto con la bici in spalla.

Uscito dal fosso, mi ritrovo letteralmente in una pozza di fango che fa sì che tutti i lubrificanti usati sulla bici vadano a farsi benedire… in effetti il giro stava filando fin troppo liscio per i miei standard.

Risalgo faticosamente fino alla strada asfaltata, solo qualche centinaio di metri più in giù (e quasi un paio d’ore più tardi) dal punto in cui avevo optato per la “ritirata”. Da qui il 5B si dirige ripido e deciso verso un bosco, pur rimandendo pedalabile.

Anche se, di tanto in tanto, la montagna mi ricorda che è bene guardare per aria…

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Dopo alberi scavalcati, “ritirate” poco strategiche, rami nelle ruote e nel cambio, e bagni di fango, arrivo finalmente a questo (è il caso di dirlo) Benedetto santuario:

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All’interno di questo santuario si trovano “splendidi affreschi ed un’impressionante statua miracolosa della Madonna Addolorata”. Io, essendo infangato da capo a piedi, non mi sono permesso di entrare ad ammirare tutto ciò (tornerò con mezzi più consoni).

Finalmente, mi re-immetto nella traccia di nonnocarb. Ora arriva la parte che mi preoccupa, ossia la discesa a Laives. Non conosco il sentiero, e quindi non posso stimare se le piogge lo abbiano ostruito. Guardando Openstreetmap, però, mi pare di capire che si tratti di un sentiero abbastanza importante, quindi non sono troppo preoccupato… a parte per le curve di livello, che mi indicano che il sentiero è praticamente su un precipizio.

Con un po’ di dubbi, e rassegnato all’eventualità di dover di nuovo spallare la bici nel caso tocchi tornare indietro, mi lancio giù per la carrareccia indicata dalla traccia… si tratta del sentiero “Via Crucis”, ossia del sentiero che i pellegrini percorrono da Laives per arrivare a Pietralba.

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Le mie preoccupazioni si rivelano infondate, perchè il sentiero è un’ autostrada che offre magnifici scorci d’autunno sulla vallata sottostante..

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Addirittura qualcuno ha pensato di costruire, a ridosso dello strapiombo, un’ osteria! L’osteria di Mezzavia.

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Che, a giudicare dalle “firme” sui muri, è chiusa ormai da diversi anni.

La parte finale della traccia segue dei sentierini un po’ più ripidi con fondo bagnato, pietre lisce e foglie. Decido di non rischiare, e proseguo lungo la carrareccia. Scopro, così, un maso davvero particolare….

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Scendo per una ripidissima strada fino a raggiungere (nuovamente) il Rio Vallarsa prima, e Laives poi. La discesa si presta a delle ultime foto.

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A questo punto la traccia di nonnocarb sarebbe finita… decido, però di chiudere in bellezza risalendo da San Giacomo verso il sentiero 10A.

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Qui incontro un simpatico vecchietto che tutto arzillo tiene il mio passo in sella alla sua e-bike. In due formiamo una strana coppia che, fino a pochi anni fa, mai si sarebbe potuta incontrare per un sentiero così ripido. In più, mi faccio gratis una piccola lezione di storia sulla sentieristica dei dintorni.

Concludo il tutto con il (per me) classico e trialistico (senza troppe pietre e radici, ma tanti switchbacks belli stretti) 4B, che mi porta dritto dentro l’autolavaggio ai piedi del Virgolo… la bici ha bisogno di una bella doccia!

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Animazione e dati del giretto:

https://www.relive.cc/view/1943318941

Settembre 2018: Val Sarentino, Valdurna

Io e Andrei decidiamo di fare un Lunedì di festa e vagabondaggio per i verdi prati ed i ridenti boschi della Val Sarentino. La traccia la scarichiamo da un forum di mountain bike, quindi andiamo abbastanza sul sicuro…

La partenza è nel paese di Sarentino, dove facciamo una bella colazione a base di cappuccino e “brioche”. Per i nostri standard, partiamo miserabilmente presto. Difatti, persino un gallo locale ci osserva perplesso come a dire: “e voi cosa ci fate qua?”

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Incominciamo il giro in una nebbiolina diffusa che di Settembre fa sempre un po’ atmosfera.

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Dopo una dolce salita iniziale su comodo brecciolino, la strada si impenna all’ingresso della valle di Valdurna e, oltretutto, diventa pure asfaltata.

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Fortunatamente, il bitume lascia presto spazio ad un fondo che più si confà alle nostre coperture tassellate.

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Ed i verdi prati a maggese lasciano spazio a degli splendidi abeti.

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La prima discesa di giornata offre un primo tratto molto tecnico che, unito al fatto di essere esposto e bagnato, decidiamo di percorrere a piedi. Questo tratto manco lo fotografiamo..

Fotografiamo però la parte più facile…

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…che Andy fa comunque a piedi perchè, lui, è scarso (e fa All Mountain con una improbabile 26 da cross country…)

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Nonostante ciò, ogni tanto riesco comunque a fargli una foto decente.

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All’uscita del bosco, dei raggi di luce trapassano le nuvole ed illuminano i prati della valle di Valdurna.

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Che rimane comunque splendida, anche senza il gioco di luce..

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Siamo ormai in vista dell’abitato di Valdurna, e del relativo laghetto.

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Persino Andy, approfittando del contesto fiabesco, decide di farsi vedere in sella.

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Dopo un giro del laghetto, ed un mio tentativo piuttosto fallimentare di dar da mangiare barrette proteiche alle trote fario, rientriamo nel bosco per dirigerci verso Reinswald.

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Una salita un po’ più ripida mi offre l’occasione perfetta per esibirmi nella nobile arte del poser.

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Arrivati a Reinswald, pranziamo a base di Radler e gnocchetti verdi.
Dopo il pranzo, torniamo in condizioni accettabili. Andy sembra persino un rider!

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Ne risentono, in positivo, anche le nostre abilità di fotografi.

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Una lunga scalinata, a fianco di uno scenografico castello, ci riporta verso il paese di Sarentino.

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Dettagli Giro:

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Link al gps: http://tc.mtb-mag.com/traccia.php?id=477301

Luglio 2018: Anello Valle del Chiarino – Valle del Venacquaro (solo)

Non avevo molta voglia di uscire in bici. Però, sarebbe stato proprio un peccato non approfittare di una giornata che sembrava essere amata dal Dio Sole.

Per farmi venire “la voglia”, ho caricato la bici nella station wagon (senza neppure smontarla… una vera pacchia), e sono uscito di casa per alcune faccende, tra cui tagliarmi i capelli. Data la mia scarsa voglia, non porto con me una giacca antipioggia, ed esco solo in maglietta e pantaloncini corti (si rivelerà una grande leggerezza). Però mi reco al supermercato in cerca di barrette, da utilizzare nei giorni a venire. Lì non trovo barrette, ma solo snack a base di sesamo che qui chiamerò “sesamini”. Mi accontento e ne prendo ben quattro confezioni (spoiler: finiranno in giornata).

Dirigo l’auto verso lo sbarramento di Provvidenza. Lì, oltre ad una centrale ENEL, c’è una strada che passa proprio sopra la diga, percorribile anche in auto. Ovviamente io la percorro in bici. La forestale che sale da Provvidenza si inerpica verso la Valle del Chiarino… un luogo di cui ho solo vaghi ricordi, frequentato nella mia infanzia insieme a mio padre alla ricerca di funghi.

Salendo per la forestale, mai troppo ripida, le sensazioni sulla mia condizione fisica sono pessime. Quest’anno mi sono dedicato del tutto al bike trial ed alla arrampicata, lasciando ben poco tempo alla bici “pedalata”. Comunque, dopo circa un’ora e tanto sudore, arrivo al rifugio Domenico Fioretti.

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Confortato dalle previsioni meteo “a corda”, decido di proseguire. Continuando a salire si arriva dapprima ai ruderi della masseria Vaccareccia, ed infine allo stazzo Solagne. Leggendo il nome Solagne, mi sovviene che proprio qui passa una delle faglie attive più grandi del Gran Sasso. Che allegria!

Avendo nelle gambe neanche due ore di pedalata, decido di proseguire per un piccolo sentiero che si inerpica a destra dello stazzo, da fare necessariamente con la bici in spalla. È la prima volta che spallo la nuova bici, e l’impresa non è delle più semplici dato che non ho con me lo zaino. Non me ne pentirò, in quanto l’alta Valle del Chiarino si rivelerà un luogo tranquillo ed atto alla contemplazione. Infatti, spendo più tempo a riposare, mangiare sesamini, e fare foto, che pedalare (o, meglio, spallare). Oggi non ho proprio voglia!

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Vicino alle “Malecoste”, trovo anche la compagnia di alcuni cavalli.

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Guardando il cielo, mi rendo conto che il tempo volge al peggio. Eppure, la voglia di vedere cosa c’è “al di là” di tutte le montagne che mi circondano è troppa (di pedalare, quella no). Decido, quindi, di proseguire per cercare almeno di raggiungere la cima di una montagna tondeggiante che ho di fronte che qui chiamerò “Cima XP” (per ovvie ragioni).

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Quando sono quasi in cima, mi accorgo di essere arrivato ad una sella. Quindi, cambio programma e la oltrepasso.

IMG_20180727_151322IMG_20180727_152501Poco dopo questo laghetto, scoprirò trattarsi della Sella del Venacquaro.

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Valle del Venacquaro, 40 minuti! Ho un vago ricordo di quando andavo a funghi per quella valle, ma ricordo bene che da quella valle si raggiunge Intermesoli attraverso una comoda carrareccia. Inoltre, voltandomi indietro vedo dei temporali proprio da dove sono venuto. Essendo a più di 2000 metri di quota in pantaloncini e maglietta, e senza alcun equipaggiamento per affrontare la pioggia, decido di proseguire e scendere giù per la valle, dove il tempo sembra essere migliore.

Lo spettacolo di quella che viene definita come la valle più selvaggia del Gran Sasso, regno di rapaci e camosci, si preannuncia straordinario…

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Scendo per un ripido single-track non troppo tecnico ma molto lento in quanto roccioso. Il sentiero non è di certo tra i più interessanti, però il paesaggio “lunare” che mi circonda evoca in me delle sensazioni che non riesco a descrivere a parole.

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Dopo non molto tempo e divertimento arrivo alla base della Valle del Venacquaro. Però c’è un problema: non è affatto come la ricordavo, e non c’è alcuna carrareccia.

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C’è solo l’indicazione di un sentiero, che non va ad Intermesoli, bensì va ad un certo “Rifugio del Monte”. Oltretutto, il sentiero sale! Tutto molto strano. Inoltre, il tempo non è dei migliori, e per via del mio poco vestire devo affrettarmi a scendere di quota (quindi, di risalire a 2200 metri non se ne parla). I sesamini sono finiti da tempo, ed anche l’acqua incomincia ormai a scarseggiare.

Intravedo degli sbiaditi e cancellati segnavia di un sentiero “144”, che sembra scendere giù. Decido di seguire questa flebile traccia, dato che comunque devo perdere quota.

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All’inizio sono ancora un po’ pimpante, e scatto un paio di foto. Fin quando non arrivo ad un ripido fosso alla cui base vedo, finalmente, il familiare bosco del Venacquaro. Purtroppo, vedo anche molti alberi caduti per via di una grossa valanga, che mi fanno capire perchè il sentiero sia ormai in disuso. Mi trovo in cima alla congiunzione tra l’Alta e la Bassa Valle del Venacquaro, ossia in cima al fosso di Fonte Gelata.

Screenshot_2018-08-10-14-09-17.jpegDecido di scendere giù, confidando di riuscire ad oltrepassare la valanga, e sperando che il bosco che vedo sotto sia proprio quello della carrareccia.

La discesa durerà un paio d’ore, in quanto decido di farla con estrema prudenza e in gran parte giù dalla bici (sono comunque solo) soprattutto perchè non mi fido affatto nè della stabilità dei massi che vedo intorno a me (e soprattutto sulla mia testa), nè della bontà della mia decisione di scendere per questa via.

Dopo la “discesa dei continui ripensamenti”, arrivo al bosco o a quel che ne rimane. Il sentiero è letteramente inghiottito dagli alberi, e per passare mi tocca scavalcarne alcuni ed aggirarne altri. È il momento della verità!

Fortunatamente riesco a superare la valanga e mi lancio (finalmente) giù per il bosco “Vetusto”. Questo bosco, conteso tra le gestioni separate di Intermesoli e Fano Adriano, non “ha mai visto lama d’uomo o sentito rumore di una motosega”. Forse proprio per questo la valanga non è stata mai sistemata.

Incontrata la carrareccia (finalmente!), arrivare ad Intermesoli è un attimo.

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Per tornare alla macchina, mi tocca fare 26 km di bitume. Nonostante un leggero temporale, riesco a tornare alla macchina in circa un ora e mezza. Lì mi riprometto d’ora in poi di evitare sentieri sconosciuti (in alta quota) senza essere equipaggiato per ogni evenienza, e senza averli prima studiati per bene sulla cartina.

Screenshot GPS. Il tratto in rosso è segnato a mano da me; il GPS si è scaricato nella discesa per Intermesoli.

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South Tyrol Trail 2017

480 km per 12000 metri di dislivello positivo (una volta e mezzo il monte Everest).

Questi i numeri del South Tyrol Trail (STT) ,  un evento organizzato da Maurizio Deflorian, noto nelle riviste per Mountain Bike come “nonnocarb”.

Gli eventi trail si caratterizzano essenzialmente per non essere delle gare, ma delle avventure da vivere in totale autonomia e senza supporto alcuno. La stella polare da seguire è la traccia GPS, fornita dall’organizzazione, che nel caso del STT attraversa i luoghi più rappresentativi e panoramici dell’Alto Adige, coniugando a ciò tecnicità e pendenze riscontrabili solo in ambienti montani quali sono le Dolomiti.

Il STT è un evento che va preparato con cura, sia dal lato della preparazione fisica, che dal lato dell’attrezzatura.

Per quanto riguarda il primo aspetto, quando pensavo di essere quasi pronto, avendo fatto 50km di sentieri per 2500m di dislivello positivo in un giorno salendo sul Corno del Renon… mi ammalo :(.

Rimango a letto con la febbre fino a 5 giorni prima della partenza del trail. Uscito dal letto, la mia preparazione è stata due ore e mezza di pedalata. In pianura. Su asfalto. Su bici da corsa. In due giorni.

Insomma, alla partenza del trail non avevo neppure una seduta di allenamento che durasse più di due ore^^. Un po’ poco per un evento che mi avrebbe tenuto in sella per più di dieci ore al giorno…

Dal lato dell’attrezzatura, la bici da usare è stata ovviamente la Regina delle Corse, che mi accompagna (con opportuni aggiornamenti) ormai da vent’anni a questa parte nei miei giretti su strade bianche.

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Avendo una bici in teoria meno performante degli altri partecipanti, ho cercato di risparmiare peso sull’equipaggiamento, prendendo accorgimenti quali portare un solo un cambio di vestiti, tagliare la saponetta per lavarli, usare un tubetto di dentifricio semi-vuoto, ed altre piccole accortezze. Inoltre, ho anche preso uno zaino leggero da Sportler, oltre che un paio di scarpe un minimo impermeabili.

In realtà i miei piani di partire più leggero degli altri falliranno miseramente, in quanto alla partenza sarò l’unico ad essersi portato dietro la tenda ^^ (due chili).

Giorno 1: Malles -> Lagundo. Km 114, dislivello 3174+, 3802-.

La mattina del Trail ero bello carico. In partenza, tutti si sono messi a fare foto alle proprie bici, quindi anche io alla mia.

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Come vedete c’è parecchio spazio tra la mia bici e le altre… non ho voluto far fare brutte figure alle bici degli altri partecipanti.

Pronti, via, ed ecco che subito, non so bene come, mi ritrovo davanti a tutti… prima di essere superato da quello che poi l’avrebbe finita per primo, in due giorni (io ce ne ho messi sei), su di una bici non a caso chiamata “Locomotive“.

Cattura di schermata (1)

Poco dopo sono stato superato anche da altri due, di cui non ho nemmeno fatto in tempo a leggere l’etichetta sulla bici^^.

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All’altezza del lago di Resia, mentre ero fermo per un problema al cambio che poi ho risolto con qualche fascetta di plastica, mi passa il gruppetto dei “Toscani”.

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Loro arriveranno in 5 giorni, mi pare.

Al Lago di Resia, non poteva mancare la solita foto di rito.

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E qualche altra foto da scorci meno convenzionali, ma ugualmente belli.

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Scendendo da Resia, quando pensavo che da lì in poi sarebbe stata tutta discesa o pianura (AH AH!), arriva la prima rampa (300m di dislivello in salita) su asfalto e sotto il sole a picco. Il panorama che ho potuto ammirare scendendo, però, ha ampiamente ripagato la sfacchinata.

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Questa è l’ultima foto di giornata. Perché dopo è sostanzialmente arrivata la *morte*. Continui sali-scendi, con la fretta di voler arrivare almeno a Lagundo prima di sera. Strade super-disastrate, principalmente “Waalwege“, che sul volantino che ci hanno dato sono descritti come “sentieri di servizio ai piccoli canali storici per l’irrigazione”. Io, invece, mi sentirei di descriverli così: un canale d’acqua a sinistra, mezzo metro di rocce e radici al centro, uno strapiombo di duecento metri a destra.

Quindi, se ti va bene, cadi nell’acqua, se ti va meno bene, sulle rocce, se ti va male cadi giù.

Tutto ciò per chilometri e chilometri (quanti? BOOOH, troppi ^^).

Alla fine, dopo più di 100 km e 3000 metri di dislivello positivo, spesso percorsi a passo d’uomo, se non a piedi, all’imbrunire arrivo finalmente a Lagundo. Stanco ma contento, primo obiettivo raggiunto.

Screenshot Traccia:

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Giorno 2: Lagundo -> Bolzano (Km 127, dislivello 3437m+, 3536m-).

Mi sveglio verso le sei e mezza del mattino, ed incomincio a smontare la tenda. Un’operazione un po’ lunga, che mi fa pensare se sia il caso che continui a portarmela dietro. Mentre sono lì a smontare ecco che vedo altri due-tre partecipanti sfrecciare a tutta sulla ciclabile, presumibilmente la donna d’acciaio Laura Ceccon, unica donna che finirà il STT, assieme al gruppo dei Vicentini. Il che accresce i miei dubbi sull’utilità della tenda.

La tappa incomincia con pedalabili 400 metri di dislivello in salita in direzione del bellissimo Castel Tirolo, che dà il nome a tutta la zona da Bolzano ad Innsbruck.

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Passato il castello si percorre un groviglio di sentieri in cui, sinceramente, non ci ho capito nulla^^. Fatto sta che improvvisamente mi sono ritrovato in centro a Merano.

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Uscito da quel groviglio malefico di sentieri, mi sentivo un eroe. E fiero circolavo per le strade di Merano, con lo stemma “South Tyrol Trail 2017” in bella vista sul manubrio. Mentre ero in preda ai miei deliri di onnipotenza, d’un tratto scorgo altri partecipanti un po’ avanti con l’età fermi al bar a sorseggiare caffè come se niente fosse. Arrivati lì già da un bel pezzo.

Cattura 2

Signori, non vi conosco, ma vi odio.

Ripartito da Merano, seguo la ciclabile per poi infilarmi in un campo di mele nei pressi di Postal, con tanto di cartello “Privato” in bella vista. Probabilmente nonnocarb ci teneva a mostraci le sue mele. Belle mele! Bravo nonno! Non ho fatto foto perché ero intento a mangiarl contemplare il verde silenzio nella rotondità del pomo.

Usciti dall’orto di nonnocarb, c’era una salita tosta, tecnica, e bastarda. Secondo me lui l’ha messa apposta perché sapeva che ci saremmo fermati a contemplare le sue mele, e per questo ci ha ripagati.

Però verso la cima ci ha perdonati, ed i paesaggi sono diventati via via più dolci e interessanti.

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Con tutto questo contemplare di mele e valli e vigneti, il tempo è trascorso velocemente, e velocemente andavano esaurendosi le batterie del GPS e del mio cellulare, nonché le mie scorte di cibo, acqua, ed energie. Ma ero solo al Lago di Caldaro, e mancavano ancora 50 km ed un numero imprecisato di metri in dislivello positivo prima di arrivare a Bolzano! Quindi, come il giorno precedente, niente più panorami, ma testa bassa e pedalare!

Cattura 5

Arriverò a Bolzano alle 10 di sera, stremato, con la digestione bloccata e la nausea, e senza la forza di arrivare fino a casa (mi sono fermato un quarto d’ora in ufficio, prima di trovare il coraggio di fare gli ultimi 5 minuti a piedi). Arrivato a casa, mi sono buttato in una vasca di acqua calda, per cercare di far ripartire la digestione. Poi, senza cenare, sono crollato nel letto, e da lì non ricordo più nulla.

Screenshot Traccia:

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Tappa 3: Bolzano -> Bressanone (Km 60.5, dislivello 2515m+, 2208m-)

Mi sono svegliato alle 5 di mattina. AFFAMATO.

Mi ricordo che nel frigo ho un kiwi da Amburgo, comprato la settimana prima. Lo mangio, ed intanto penso che così non si possa andare avanti: a che pro morire per finire il Trail in 4 giorni, correndo come un cavallo con i paraocchi e senza poter godere del paesaggio che mi circonda, quando posso farmelo con tutta calma in 5?

Con questi pensieri vado in ufficio a fare manutenzione alla bici: le serie sterzo delle vecchie mtb sono molto delicate, ed incominciano ad avere gioco già dopo pochi chilometri di strade dissestate. Già che sono lì, compro un pacchetto di Loacker alle macchinette.

Però ho ancora fame. Ed ecco che mi ritrovo alle sei di mattina a vagare per Bolzano, in solitaria, alla ricerca di luoghi che vendano cibo. Fallisco, e torno in ufficio a studiare il percorso, ed il meteo.

E guardando quest’ultimo, trovo una sorpresa: c’è bel tempo! Sole, sole, ed ancora sole! Yeah!

Immediatamente penso di alleggerire il fardello. E allora, via la tenda! Via i pantaloni antipioggia! Via la giacca antipioggia! Lascio indietro pure mezzo chilo di pannelli solari: nel bosco, semplicemente, non funzionano.

Dopo aver tolto più di 3 chili di peso, ed avendo deciso di percorrere l’ultima metà di percorso in 3 giorni anziché due, mi sentivo un drago.

Un drago affamato.

Infatti sono uscito di nuovo, e questa volta la mia ricerca ha avuto successo: ho comprato una focaccia con prosciutto cotto e formaggio. Mai ho mangiato una focaccia così buona.

Però avevo ancora fame.

Alla fine ho aspettato che aprisse la Despar, alle 8:30, dove mi sono comprato un’intera pizza surgelata. Sono tornato a casa, me la sono cotta, ci ho rovesciato sopra un’intera confezione di prosciutto, e me la sono mangiata.

Finalmente, dopo 3 ore e mezza di vagabondaggi, la mia fame si è placata.

Torno in ufficio, e finisco di preparare tutto il necessario per il proseguimento del viaggio. Adesso posso alleggerire il mio zaino, mettendo il sacco a pelo sul manubrio, dove prima era la tenda. Un bel vantaggio!

Trovo anche un modo abbastanza stabile di tenere il cellulare sul manubrio, così da non dover più ricorrere a contorsionismi vari per tirare ogni volta il cellulare fuori dallo zaino al fine di controllare la traccia.

Riparto verso le 11 del mattino, sotto un caldo torrido. La salita di Collalbo, totalmente esposta al sole, è come una friggitrice a cielo aperto. Ma io sono troppo euforico per accorgermene, e vado come un treno. Salto gli ostacoli, macino chilometri, spingo e spingo sui pedali… quando ad un tratto spingo un po’ troppo e…. “TRACK!”. Succede questo.

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Penso, “Che sfiga! Ma va beh, tanto io mi sono portato dietro il tool per le maglie catena”. Quando prendo il tool, però, mi accorgo di un problema… il ferretto che dovrebbe entrare nelle maglie della catena si è storto, rendendo l’intero tool inutilizzabile!

Adesso sono nei guai, penso. Incomincio a pensare a tremila, e subito mi viene in mente la piccola pinza che ho comprato a Brico pochi giorni prima (Ben 4 Euro). La prendo, e cerco di fare leva per raddrizzare il ferretto del tool.

Dopo tanto faticare sotto il sole, con l’ausilio della mia borraccia di metallo usata a mo’ di martello (diffidate dalle borracce di plastica), riesco nell’impresa! Dopo circa mezz’ora la catena è riparata, e finalmente posso ripartire.

E per fortuna che sono ripartito, perchè altrimenti mi sarei perso lo spettacolo dello Schlern dall’altopiano del Renon.

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Mentre già mi pregustavo l’arrivo a Bressanone, di questa (mezza) giornata filata sostanzialmente liscia (a parte la rottura della catena), rompo la catena una seconda volta. Ciò non mi impedirà di lì a poco di arrivare a Chiusa, su cui svetta il monastero di Sabiona.

IMG_20170717_184150Dopo la cena a Chiusa, con immancabile bagno al fiume, pedalo in notturna fino a Bressanone. Nell’attimo in cui stendo il sacco a pelo in un campo di mele, per dormire sotto le stelle, viene giù un bel temporale. Alla faccia del bel tempo! Mentre mi pento di aver lasciato la tenda a Bolzano, e non sarà l’ultima volta, corro a trovare rifugio sotto una tettoia in un campo da tennis, in cui passerò la notte.

Screenshot Traccia:

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Tappa 4: Bressanone -> Monguelfo (Km 69, dislivello 2696+, 2172-)

Mi sveglio verso le 6, ed incomincio a re-impacchettare il sacco a pelo e tutto il resto. Verso le 6 e mezza vado in cerca di un bar aperto in cui fare colazione, e dopo tanto vagare per bar e bar chiusi, l’unico che trovo aperto è gestito da un Romano.. mi sento un po’ più a casa.

Apro l’altimetria del percorso… il mio piano per la giornata prevede di superare  due punti attorno ai duemila metri: l’alpe di Rodengo e Prato Piazza, per oltre tremila metri di dislivello totali.

Poco dopo esser partito, incontro i due superstiti del gruppo di Vicentini, Laura e Antonio. Dopo un breve tratto a tre, seguo il mio passo e salgo in solitaria per la ripida strada asfaltata che porta all’alpe di Rodengo. La foto che scatto in cima non è certo delle migliori, e non rende la “pratosità” del posto.IMG_20170718_111123

La discesa è un ripido e tecnico single-track, dove ciò è possibile, composto da 4-5 sentieri messi insieme. Devo dire che come discesa è stata un po’ bizzarra: ho dovuto attraversare, nell’ordine, recinzioni elettrificate, un’abitazione privata (con tanto di saluto dell’inquilina che bellamente prendeva il sole), e un… cimitero.

Alla fine della discesa, lo spettacolare Castello di Casteldarne.

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Arrivato a Brunico, non senza che prima nonnocarb ci facesse fare l’immancabile deviazione di rito, sotto il sole a picco, al fine di farci ammirare il suo campo di granturco, con tanto di pini abbattuti che bloccavano in sentiero (bici in spalla e passa la paura), ho pranzato e fatto una scorta di barrette alla Despar. Sono poi andato da Sportler a comprare una catena nuova ed un nuovo tool per le maglie catena. Mentre ero lì che sostituivo la catena mi passa il gruppetto dei Toscani (ma non erano avanti???).

Quando vado a riporre i tool, mi accorgo che ho bucato… il tubetto di colla delle Tip Top per riparare le camere d’aria in caso di foratura! Una meta-foratura! Quindi, torno da Sportler, questa volta per comprare un nuovo box di Tip Top.

Mentre mi accingo a ripartire, con non poco ritardo sulla mia tabella di marcia ed ormai rassegnato a non raggiungere Prato Piazza, incontro Laura e Antonio. Essendo loro convintissimi di poter raggiungere Prato Piazza prima della notte, decido di unirmi a loro.

La nostra avventura a tre finirà poco dopo, sotto un freddo temporale, in quel di Monguelfo. Mentre loro due decideranno di passare la notte lì, io mi pento nuovamente di aver lasciato la tenda a Bolzano, e decido di tornarci in treno per recuperare il completo anti-pioggia.

Loro due riusciranno ad arrivare il giorno dopo, verso sera.

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Il mio viaggio di ritorno, invece, si interromperà a Fortezza: un capotreno con molto zelo deciderà che io non posso salire in bici sull’ultimo treno per Bolzano. Passo così la notte sul pavimento della stazione di Fortezza, insieme a profughi che preoccupati mi domandano “che succede, tutto bene capo?”. Non preoccupatevi per me, questa mia disavventura è una bazzecola rispetto a ciò che, tutti i giorni, dovete affrontare voi.

Screenshot Traccia:

Cattura 8.PNG

Tappa 5: Monguelfo -> Carbonin (Km >16, dislivello >791m+, >58m-) [Traccia GPS non registrata per intero]

La mattina prendo il primo treno e sono a Bolzano… a quest’ora, secondo i miei programmi, sarei già dovuto essere tornato indietro a Monguelfo. Decido quindi di posticipare la mia ripartenza, ormai è già tardi, e di andare a lavorare in ufficio.

Dopo mezza giornata tra e-mail e documenti, durante la pausa pranzo vado da Sportler per cercare di risolvere il dubbio: come proteggersi da un temporale che ti sorprende, magari di notte, a 2000 metri di quota? L’addetto alle vendite, un ragazzo che ogni tanto vedo quando vado ad arrampicare a Salewa, mi spiega cos’è un sacco da bivacco e come usarlo. Lo prendo, felice e contento. Adesso posso affrontare qualunque condizione atmosferica.

Sono di nuovo a Monguelfo verso le sette di sera. Dopo una breve cena, inizio la salita per Prato Piazza. Quando sono a Ponticello, verso metà salita, è già quasi buio.

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Arriverò a Prato Piazza verso le dieci di sera. Decido di tentare la discesa in notturna, anche perché Laura il giorno prima mi ha detto che quella da Prato Piazza è una discesa meno tecnica di quella dall’alpe di Rodengo. Purtroppo non trovo un appoggio stabile per la lampadina che mi sono portato dietro, e mi tocca tenerla puntata verso le stelle. Fortunatamente ho anche una piccola lampadina portachiavi che appendo sotto il manubrio. Morale: posso vedere le rocce subito sotto la mia ruota, e quelle distanti 50 metri. Ciò che c’è in mezzo? Boh, inutile saperlo.

Verso mezzanotte stendo il sacco a pelo sul sentiero nei pressi di Carbonin.

Screenshot Traccia [incompleta]

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Ultima Tappa: Carbonin -> Camping Olympia, Dobbiaco (Km 80.2, dislivello 2352m+, 2603m-) 

Mi sveglio sapendo che oggi, se tutto filerà liscio, sarà l’ultima giornata del STT. Il primo tratto è di discesa verso Dobbiaco, pedalando lungo la ciclabile che collega Dobbiaco a Cortina D’Ampezzo. Lungo il tragitto ammiro, in sequenza, la visuale sul Gruppo del Cristallo dal Lago di Landro, le Tre Cime in lontananza, ed il Lago di Dobbiaco.

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Dopo una colazione a base di cornetti (che qui chiamano brioche) e cappuccino, riempio la mia borraccia alle sorgenti della Drava.

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Dopo una breve salitella che mi porta oltre i 1400 metri di quota, godo di un’ottima visuale sul Gruppo Rondoi-Baranci.

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La discesa mi porterà ai Bagni di San Candido, luogo che prima di cadere in rovina era stato frequentato da potenti e imperatori. Infine, me.

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Luogo che sicuramente avrebbe meritato una foto migliore…

La prima vera asperità di giornata la incontro dopo il paesino di Sesto. Si sale attorno ai 2000m in direzione Croda Rossa. La salita sarà tutt’altro che rose e fiori. Verso metà ascesa, infatti, rompo la catena (siamo alla quarta riparazione).

 

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Dopo averla riparata, ed aver percorso solo duecento metri, la catena si rompe nuovamente. Questa volta mi accorgo del motivo per cui ho tante rotture catena: il pignone del 42 si è piegato, ed ormai poggia completamente su quello del 36. Morale della favola: mi tocca continuare il giro (cioè, salire altre due volte attorno ai 2000m) con solo i 5 pignoni rimasti. Quelli più duri.

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(Pacco pignoni all’arrivo. Foto di nonnocarb.)

Mentre sostituisco la catena, il cielo si fa sempre più grigio. Acquazzone in arrivo, devo sbrigarmi ad arrivare in cima.

Nonostante tutto, alla fine, ce la faccio.

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Mi fermo giusto il tempo di una foto, e riparto velocemente. Dopo la discesa, torno nuovamente attorno a quota 2000.

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Lungo questa seconda discesa, però, incomincia a piovere. Mi fermo e mi metto in modalità pioggia. Quindi riparto, ma la mia direzione è proprio verso il temporale.

Fortunatamente, dovunque io metta le ruote ha appena smesso di piovere, quindi pedalo essenzialmente all’asciutto (a parte il fango del sentiero). Ciò mi dà il tempo di un’altra foto, durante l’ascesa che mi porterà in cima alla funivia del Monte Elmo.

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Una volta in cima, non ho neanche il tempo di riempire la borraccia, che subito vengo investito da una fitta nebbia. Mi lancio prontamente in discesa, e riesco quindi a fuggire dall’ennesimo temporale di giornata.

La discesa mi porterà a San Candido, in cui gli odori di una sagra di paese mi tentano per fermarmi a mangiare. Ma ormai manca meno di un’ora a Dobbiaco, ed è ora di finire questa avventura che si è protratta anche troppo a lungo.

Arrivato al Camping, incontro nonnocarb che scatta le sue foto di rito. Mi offrirà una birra, che spero un giorno di poter ricambiare.

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(Io all’arrivo. Foto di nonnocarb).

Dopo neanche venti minuti, viene giù un diluvio. Non cadere in tentazione a San Candido è stata una scelta saggia :).

Screenshot Traccia:

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