Non avevo molta voglia di uscire in bici. Però, sarebbe stato proprio un peccato non approfittare di una giornata che sembrava essere amata dal Dio Sole.
Per farmi venire “la voglia”, ho caricato la bici nella station wagon (senza neppure smontarla… una vera pacchia), e sono uscito di casa per alcune faccende, tra cui tagliarmi i capelli. Data la mia scarsa voglia, non porto con me una giacca antipioggia, ed esco solo in maglietta e pantaloncini corti (si rivelerà una grande leggerezza). Però mi reco al supermercato in cerca di barrette, da utilizzare nei giorni a venire. Lì non trovo barrette, ma solo snack a base di sesamo che qui chiamerò “sesamini”. Mi accontento e ne prendo ben quattro confezioni (spoiler: finiranno in giornata).
Dirigo l’auto verso lo sbarramento di Provvidenza. Lì, oltre ad una centrale ENEL, c’è una strada che passa proprio sopra la diga, percorribile anche in auto. Ovviamente io la percorro in bici. La forestale che sale da Provvidenza si inerpica verso la Valle del Chiarino… un luogo di cui ho solo vaghi ricordi, frequentato nella mia infanzia insieme a mio padre alla ricerca di funghi.
Salendo per la forestale, mai troppo ripida, le sensazioni sulla mia condizione fisica sono pessime. Quest’anno mi sono dedicato del tutto al bike trial ed alla arrampicata, lasciando ben poco tempo alla bici “pedalata”. Comunque, dopo circa un’ora e tanto sudore, arrivo al rifugio Domenico Fioretti.
Confortato dalle previsioni meteo “a corda”, decido di proseguire. Continuando a salire si arriva dapprima ai ruderi della masseria Vaccareccia, ed infine allo stazzo Solagne. Leggendo il nome Solagne, mi sovviene che proprio qui passa una delle faglie attive più grandi del Gran Sasso. Che allegria!
Avendo nelle gambe neanche due ore di pedalata, decido di proseguire per un piccolo sentiero che si inerpica a destra dello stazzo, da fare necessariamente con la bici in spalla. È la prima volta che spallo la nuova bici, e l’impresa non è delle più semplici dato che non ho con me lo zaino. Non me ne pentirò, in quanto l’alta Valle del Chiarino si rivelerà un luogo tranquillo ed atto alla contemplazione. Infatti, spendo più tempo a riposare, mangiare sesamini, e fare foto, che pedalare (o, meglio, spallare). Oggi non ho proprio voglia!
Vicino alle “Malecoste”, trovo anche la compagnia di alcuni cavalli.
Guardando il cielo, mi rendo conto che il tempo volge al peggio. Eppure, la voglia di vedere cosa c’è “al di là” di tutte le montagne che mi circondano è troppa (di pedalare, quella no). Decido, quindi, di proseguire per cercare almeno di raggiungere la cima di una montagna tondeggiante che ho di fronte che qui chiamerò “Cima XP” (per ovvie ragioni).
Quando sono quasi in cima, mi accorgo di essere arrivato ad una sella. Quindi, cambio programma e la oltrepasso.
Poco dopo questo laghetto, scoprirò trattarsi della Sella del Venacquaro.
Valle del Venacquaro, 40 minuti! Ho un vago ricordo di quando andavo a funghi per quella valle, ma ricordo bene che da quella valle si raggiunge Intermesoli attraverso una comoda carrareccia. Inoltre, voltandomi indietro vedo dei temporali proprio da dove sono venuto. Essendo a più di 2000 metri di quota in pantaloncini e maglietta, e senza alcun equipaggiamento per affrontare la pioggia, decido di proseguire e scendere giù per la valle, dove il tempo sembra essere migliore.
Lo spettacolo di quella che viene definita come la valle più selvaggia del Gran Sasso, regno di rapaci e camosci, si preannuncia straordinario…
Scendo per un ripido single-track non troppo tecnico ma molto lento in quanto roccioso. Il sentiero non è di certo tra i più interessanti, però il paesaggio “lunare” che mi circonda evoca in me delle sensazioni che non riesco a descrivere a parole.
Dopo non molto tempo e divertimento arrivo alla base della Valle del Venacquaro. Però c’è un problema: non è affatto come la ricordavo, e non c’è alcuna carrareccia.
C’è solo l’indicazione di un sentiero, che non va ad Intermesoli, bensì va ad un certo “Rifugio del Monte”. Oltretutto, il sentiero sale! Tutto molto strano. Inoltre, il tempo non è dei migliori, e per via del mio poco vestire devo affrettarmi a scendere di quota (quindi, di risalire a 2200 metri non se ne parla). I sesamini sono finiti da tempo, ed anche l’acqua incomincia ormai a scarseggiare.
Intravedo degli sbiaditi e cancellati segnavia di un sentiero “144”, che sembra scendere giù. Decido di seguire questa flebile traccia, dato che comunque devo perdere quota.
All’inizio sono ancora un po’ pimpante, e scatto un paio di foto. Fin quando non arrivo ad un ripido fosso alla cui base vedo, finalmente, il familiare bosco del Venacquaro. Purtroppo, vedo anche molti alberi caduti per via di una grossa valanga, che mi fanno capire perchè il sentiero sia ormai in disuso. Mi trovo in cima alla congiunzione tra l’Alta e la Bassa Valle del Venacquaro, ossia in cima al fosso di Fonte Gelata.
Decido di scendere giù, confidando di riuscire ad oltrepassare la valanga, e sperando che il bosco che vedo sotto sia proprio quello della carrareccia.
La discesa durerà un paio d’ore, in quanto decido di farla con estrema prudenza e in gran parte giù dalla bici (sono comunque solo) soprattutto perchè non mi fido affatto nè della stabilità dei massi che vedo intorno a me (e soprattutto sulla mia testa), nè della bontà della mia decisione di scendere per questa via.
Dopo la “discesa dei continui ripensamenti”, arrivo al bosco o a quel che ne rimane. Il sentiero è letteramente inghiottito dagli alberi, e per passare mi tocca scavalcarne alcuni ed aggirarne altri. È il momento della verità!
Fortunatamente riesco a superare la valanga e mi lancio (finalmente) giù per il bosco “Vetusto”. Questo bosco, conteso tra le gestioni separate di Intermesoli e Fano Adriano, non “ha mai visto lama d’uomo o sentito rumore di una motosega”. Forse proprio per questo la valanga non è stata mai sistemata.
Incontrata la carrareccia (finalmente!), arrivare ad Intermesoli è un attimo.
Per tornare alla macchina, mi tocca fare 26 km di bitume. Nonostante un leggero temporale, riesco a tornare alla macchina in circa un ora e mezza. Lì mi riprometto d’ora in poi di evitare sentieri sconosciuti (in alta quota) senza essere equipaggiato per ogni evenienza, e senza averli prima studiati per bene sulla cartina.
Screenshot GPS. Il tratto in rosso è segnato a mano da me; il GPS si è scaricato nella discesa per Intermesoli.